I pentiti, la pistola, le cimici: la 'verità' di un omicidio - Live Sicilia

I pentiti, la pistola, le cimici: la ‘verità’ di un omicidio

Ecco il mosaico che ha portato alla condanna di Gaetano Marino per il delitto di Saro Sciuto. Freddato nel 2011.
LA SENTENZA
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CATANIA – Erano le 20.45 del 12 novembre 2011. Rosario Sciuto è entrato nell’androne di uno dei palazzi del civico 13 del Viale Moncada. Ha pigiato il tasto dell’ascensore. Il killer ha sparato più volte con un revolver calibro 38. Sul pavimento sono stati trovati i frammenti di almeno dieci colpi. È stato ferito alle spalle e al capo. Almeno 7 pistolettate. Compreso il ‘colpo di grazia’ alla testa. Un omicidio che visto il passato giudiziario della vittima – Saro u sucaru (o sucarru), era un esponente del clan Mazzei di Catania – aveva aperto molti interrogativi. E si era pensato a una possibile guerra di mafia. Anche perché già nel 2009 c’era stato un fallito attentato nei suoi confronti.

Sciuto, che da qualche anno era stato scarcerato, aveva detto di essersi allontanato dai ‘carcagnusi’.  Per i beneinformati avrebbe gestito però una piazza di spaccio al viale Castagnola, lì dove aveva aperto un negozio di alimentari. Servirà qualche anno per arrivare a far scattare le manette a qualcuno. Ma comunque tutte le indagini avevano portato a una famiglia ben precisa. E cioè i Marino di Librino, all’interno dei Nizza (del clan Santapaola-Ercolano) per alcuni anni e poi transitati nel gruppo di Picanello. Un cambio dovuto a degli scontri con i narcotrafficanti di Librino. E che avrebbe collegamenti proprio con questo omicidio.

Ora c’è una verità processuale. A sparare quella sera, secondo una sentenza diventata ormai definitiva, è stato Gaetano Marino, rampollo della famiglia che non ha mai disdegnato l’uso delle armi e della violenza. Anzi i pentiti ascoltati nel dibattimento hanno anche riferito che il padre Raffaele si vantava della capacità di uccidere del figlio. Sono i collaboratori di giustizia a fondare il pilastro portante dell’accusa. Nei racconti ci sono delle differenze – e su queste hanno insistito anche gli avvocati della difesa – ma tutti convergono nel nome di Gaetano Marino. C’è stato anche un confronto tra Il teste chiave Fabrizio Nizza, ex uomo d’onore e nel 2011 ‘capo clan’ del condannato, e Salvatore Cristaudo, soldato dei Nizza.

Nella sentenza di secondo grado (diventata irrevocabile) i giudici della Corte d’Assise d’Appello hanno superato alcune ‘diversità’ delle testimonianze e hanno ribaltato il verdetto di assoluzione di primo grado. Per Fabrizio Nizza sarebbe stato lo stesso Marino a confessargli l’omicidio il giorno dopo. Inoltre 24 ore prima il padre si sarebbe lamentato con l’uomo d’onore per il fatto che il figlio aveva portato a Librino due pistole calibro 38. Ed è proprio una 38 l’arma usata per ammazzare Saro Sciuto. I Ris lo hanno confermato dopo il sequestro di alcune armi e droga.

Un’assassinio deciso da Gaetano Marino di ‘testa sua’: dietro ci sarebbe la relazione extraconiugale con la figlia della vittima (che poi nel 2014 diventerà sua moglie) osteggiata dal padre. Ma anche le tensioni per lo smercio di droga nella stessa zona. A fare il nome di Gaetano Marino ci sono stati anche Davide Seminara, Salvatore Cristaudo. E nel dibattimento di secondo grado si sono aggiunte le parole di Salvatore Messina del clan Pillera (Damiano Sciuto gli avrebbe confidato che a uccidere il padre sarebbero stati i Marino e avrebbe tanto voluto vendicarsi), Dario Caruana dei Santapaola (Andrea Nizza gli avrebbe raccontato che a commettere l’omicidio erano stati i Marino e che sarebbe stato anche il padre Raffaele a fargli questa confessione in carcere) e infine Antonio D’Arrigo della cellula di Cosa nostra di Picanello (alcuni esponenti del gruppo gli avrebbero dichiarato che i Marino, migrati nel loro clan, avrebbero ucciso Saro Sciuto).

A completare il mosaico ci sono state delle intercettazioni proprio dei due soldati di Picanello che hanno discusso dell’arrivo dei Marino nelle file governate dal boss Giovanni Comis. Il 29 aprile 2014 Marco Brischetto hanno commentato con Pinuccio Tringale: “Ora mi hai detto lui si è preso persone di Librino? I fratelli Marino. Questi quelli che… del Sucaru”. Parole che per la Corte d’Assise d’Appello hanno avuto un “peso specifico”. E infatti hanno condannato Gaetano Marino all’ergastolo. Ergastolo che dopo il rigetto della Cassazione non ha più possibilità d’appello. 


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