Sabato scorso ero anch’io al Foro Italico. Devo confessare che la commozione è stata grande. Mi rimarrà sempre nella memoria l’attimo in cui è stato sollevato il velo che copriva l’effige di don Pino Puglisi e le colombe si sono levate in volo sul cielo azzurro, sotto lo sfondo del sorriso del nuovo Beato. Mi sono tornate alla mente a quelle dell’elicottero che qualche mese prima, in un cielo altrettanto azzurro ma di Roma, portava Benedetto XVI a Castelgandolfo. La nostra memoria ha bisogno anche di immagini e queste certamente renderanno indelebile il significato di questo evento.
Ma a distanza di sette giorni tutto sembra tornato alla normalità. La città è tornata a confrontarsi con i soliti insoluti problemi e i cittadini, serenamente rassegnati, vivono nell’attesa del prossimo grande evento. Eppure Puglisi ha già fatto un piccolo miracolo. In Cattedrale ogni giorno alla coda dei turisti che vengono a visitare le tombe dei re normanni se ne è aggiunta un’altra, meno internazionale e più nostrana: quella dei tanti palermitani che rendono omaggio e pregano sulla tomba di 3P.
La domanda su cosa questo avvenimento ha cambiato rimane legittima. Forse ancora di più a distanza di una settimana. Va, però, contestualizzata. Benedetto XVI nel documento Porta fidei con cui ha indetto l’anno della Fede, evidenzia come oggi “i cristiani si diano maggiore preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare la fede come un presupposto ovvio del vivere comune”.
Ecco, don Pino ci ha testimoniato proprio il contrario! Nella sua vita, come in tanti hanno ampiamente documentato, l’instancabile impegno sociale e pastorale nasceva dalla fede. E la sua preoccupazione per i risultati da conseguire veniva sempre dopo quella che aveva per il cambiamento del cuore di quanti incontrava, mafiosi compresi. Tutti giustamente parlano oggi del suo sorriso, ma quel sorriso era rivolto al cuore degli uomini e proprio per questo non fu messo in discussione da nessuna pur dura condizione materiale. E sopravvisse anche alla sua morte. Ecco un altro piccolo miracolo. Puglisi ci ha ricordato e insegnato come c’è bisogno di cambiare lo sguardo e il cuore, prima di guardare ai risultati.
Ciò non toglie che il “ciclone Puglisi” ci costringerà proprio per la sua santità e per la sua notorietà a rivedere molte cose, compreso un certo tipo di pastorale, come ha giustamente osservato da queste pagine Francesco Palazzo. Ma a questo punto occorre fare una distinzione. Vi è una responsabilità della Chiesa, quella istituzionale per intenderci, che già da ora deve saper fare i conti con quanto sta generando la santità di Puglisi. Senza nulla togliere, anzi partendo, da quello che ha fatto dal 1993 ad oggi, grazie anche al grido lanciato da Giovanni paolo II nella Valle dei templi.
Vi è anche un impegno di tutti, fedeli e laici, che attiene alla responsabilità personale di ciascuno che può essere e deve essere messa in moto subito. Sul primo punto bisogna essere rispettosi dei tempi, anche se viviamo in un’epoca in cui ogni minuto sembra essere l’ultimo utile della nostra vita Ma la saggezza millenaria della Chiesa, come ci ricorda Papa Francesco, un altro ciclone, poggia su metodi che derivano da un’altra storia e da un’altra esperienza. Penso che i Vescovi siciliani affronteranno quanto prima questo aspetto, con la consapevolezza che è certamente importante, ma non decisivo.
Vi è, infatti, un certo tipo di pastorale, spesso ripetitiva e scontata, preoccupata più di dare servizi religiosi, pur legittimi e necessari, che di trasmettere la fede. Questo vale ad esempio per tante buone attività parrocchiali che, come ripete il Papa, sembrano gestite più da operatori di organizzazioni umanitarie che da testimoni del Vangelo. Insomma, c’è bisogno di una nuova azione missionaria che vada verso le periferie, che deve nascere da un cambiamento di mentalità altrimenti, se sarà frutto di piani pastorali, lascerà il tempo che troverà, come l’esperienza dimostra.
Ed anche in questo caso torna utile ricordare quanto don Pino fosse legato alla Chiesa come istituzione, come fosse andato a Brancaccio per obbedienza e non per aspirazione di fare carriera, come fosse rispettoso degli impegni da svolgere in Curia; ma va detto anche che la sua azione pastorale era slegata da programmi e progetti fatti a tavolino per attuare idee pensate da altri e nate magari lontano da Brancaccio.
Francesco Palazzo ha chiesto a fine celebrazione a molti tra i presenti cosa sarebbe cambiato nella lotta a Cosa nostra per ciascuno di loro. Io ho avuto modo di chiederlo la sera prima ai tanti giovani, molti venuti da tutta la Sicilia, che assistevano allo spettacolo che si è tenuto dove sorgerà la nuova parrocchia di San Gaetano, fortemente voluta da Puglisi. La frase ricorrente era “una vita da imitare” (anche se sotto voce aggiungevano che avrebbero preferito evitare il martirio).
Questi giovani avevano, anzi hanno, chiaro che la testimonianza di Puglisi, proprio perché accresciuta dal valore della santità, non può essere relegata nel recinto del buon esempio civile, sempre lodevole e apprezzabile, ma deve tradursi in un modo nuovo di vivere la responsabilità ecclesiale e personale, a partire dalla lotta alla mafia, e non solo a questa. Il bisogno di questi giovani, di tutti i giovani, è di avere ideali incarnati da uomini concreti a cui guardare, e Puglisi in modo inatteso e insperato ci è stato dato per questo.
Mons. Cataldo Naro, compianto Arcivescovo di Monreale, era, convinto, “che i santi fanno la storia: sia quelli elevati all’onore degli altari, sia i santi che incontrano Dio ovunque, nelle frontiere della loro vita quotidiana, nei monasteri e negli istituti di vita consacrata, come negli oratori parrocchiali, nelle università come in fabbrica, nelle piazze e nelle sagrestie”. La nostra terra è ricca di tanti santi, come ricordò Benedetto XVI in pazza Politeama, alcuni dei quali anche martiri. Andrebbero conosciuti e fatti conoscere di più e meglio, soprattutto ai giovani.
Alessandro D’Avenia che fu allievo al liceo di don Pino lo ha ricordato così: “E loro cambiavano perché eri santo e martire: vedevano come parlavi, come sorridevi, come raccontavi la Bibbia, come celebravi la Messa e la Confessione. Tu eri santo perché maneggiavi con cura le cose sante di Dio: uomini, donne e sacramenti. E uno non aveva più scuse, perché Dio c’era”. Ecco la santità che può produrre quel cambiamento che tutti speriamo, anche nella lotta alla mafia. Però dobbiamo saper rispettare l’infinita fantasia di Dio, che ha una misura enormemente superiore alla nostra. Diciamocelo francamente: chi avrebbe scommesso su un tipo come 3 P? Solo dopo la sua uccisione molti si sono premurati di dire che lo conoscevano e che ne apprezzavano le indubbie qualità. Eppure Dio ha scommesso su di lui e su nessuno dei suoi confratelli più noti. Ma Dio non fa né progetti né programmi pastorali. Lasciamo agli uomini la responsabilità di produrli e di contestarli, soprattutto quando non producono frutto, ma al contempo facciamo anche la fatica di comprendere i disegni di Dio, almeno quando si presentano con la straordinaria efficacia della vita del beato don Pino Puglisi.
Alessandro D’Avenia ha voluto salutare il suo professore e maestro così: “Ora sei beato, caro 3P, e la santità è qualcosa di più abbordabile, tascabile quasi. Qualcosa che solo Dio può dare a chi non si chiude nel salotto, ma fa della strada il suo salotto. E la strada è lì dove Dio lo chiama: in ufficio, a scuola, al supermercato, tra i fornelli, allo sportello della banca, dietro un computer, al mare, in montagna, in centro e in periferia. Questo ti chiedo di ricordarci: che tutti siamo santi lì dove siamo, se solo non ci chiudiamo all’unica Beatitudine, l’unica possibile in queste vie del mondo così trafficate di uomini e donne che cercano la beatitudine con la minuscola, quella che una volta che l’hai afferrata è già perduta. La Beatitudine continua e infrangibile invece è lì a portata di mano. Così eri tu, per me. Così sei tu, adesso, per tutti. Grazie, caro amico e padre, martire dell’ordinario amore straordinario di Dio”.
In attesa di conoscere come cambieranno i piani pastorali, magari grazie al nostro contributo, proviamo tutti a cambiare un pizzico della nostra vita, come don Pino ha saputo fare.