PALERMO – I soldi dei mafiosi di Brancaccio non finiscono mai. La capacità dei fratelli Graviano di investire i piccioli sporchi ha fatto scuola. Un fiume di denaro, che ha dato il via a un sistema economico che si alimenta da sé.
Gli ultimi rivoli scoperti dai finanzieri del Nucleo speciale di polizia valutaria hanno portato fino ai fratelli Cesare e Antonino Lupo. Il primo sta scontando al 41 bis una pena definitiva per mafia, mentre il secondo è stato condannato per droga in primo grado. La vera forza di Cesare Lupo, come per gli altri boss, sono gli insospettabili che si mettono a disposizione per schermare imprese e attività commerciali. Fra i prestanome ci sarebbe pure un avvocato, Tommaso Scanio, con un passato da vice procuratore onorario. Era lui, secondo l’accusa solo ufficialmente, il presidente della “Fenice società cooperativa”, nata nel 2010 per lavorare nel settore dei rifiuti e in cui Lupo avrebbe ripulito 40 mila euro.
Un anno e mezzo fa un libro mastro è stato trovato a casa della moglie di Cosimo Geloso, uno dei 34 arrestati dell’ultimo blitz di Squadra mobile e Polizia tributaria nel mandamento Brancaccio per ultimo guidato da Pietro Tagliavia. Vi erano scritti dei nomi in codice che sono stati decriptati. Dietro le sigle si celava l’identità dei pezzi da novanta di Cosa nostra che ricevevano soldi con cadenza mensile.
Praticamente c’era il gotha della mafia di Brancaccio degli ultimi decenni. A cominciare da Cesare Lupo, Giuseppe Arduino e Giuseppe Faraone, eredi dei Graviano. Per proseguire con Andrea Adamo, condannato all’ergastolo perché fece parte del commando che assassinò il reggente del mandamento di Porta Nuova, Nicola Ingarao, e il suo anziano suocero, Pino Savoca. Ed ancora: Matteo Scrima, ex Pip che nel 2011 arrivò al summit convocato da Giulio Caporrimo di San Lorenzo a Villa Pensabene a braccetto con Giuseppe Calascibetta, il capomandamento di Santa Maria di Gesù che pochi mesi dopo sarebbe stato crivellato di colpi.
Soldi su soldi, molti dei quali consentono ai boss di non avere problemi di liquidità. Qualche tempo fa, grazie ai pizzini trovati in una pompa di benzina, si è scoperto che ai soli Graviano andavano garantiti venti mila euro al mese. Al contrario i picciotti arrancano, gli spettano le briciole. Soldi chiamano soldi e così nel corso degli anni ai boss di Brancaccio sono stati sequestrati e confiscati ville, appartamenti, terreni, pompe di benzina, bar, parcheggi, agenzie di scommesse e di trasporti, gioiellerie, ingrossi di bevande e tanto altro ancora. Perché ciò che conta è diversificare. E allora è diventato complicato tracciare tutti i beni. Complicato ma non impossibile, come dimostra l’ultima indagine dei finanzieri. Non è solo in Sicilia che si indaga perché, nel frattempo, alcuni pezzi grossi sono andati a vivere a Roma, come Giuseppe Guttadauro, Benedetto e Nunzia Graviano, che ogni tanto ritornano in città. A Nunzia, per esempio, di recente, come ha raccontato Livesicilia, è toccato vivere un’insolita esperienza processuale da truffata. Si è presentata in aula come parte lesa.