PALERMO – I racconti di Gaetano Fontana, aspirante collaboratore di giustizia, riguardano molto il suo passato e poco il presente. Giura, infatti, di non avere più un ruolo in Cosa Nostra. Ed è soprattutto per questo motivo che al momento non viene ritenuto pienamente credibile dai pubblici ministeri di Palermo.
Del passato, però, riferisce molti episodi. Un passato che si sposta fino al presente quando ammette di incassare “sette, otto mila euro al mese” dall’affitto di immobili comprati dal padre Stefano con i soldi sporchi. Soldi accumulati già dagli anni Ottanta quando gestiva il contrabbando di sigarette dal Montenegro.
Del padre racconta un episodio legato a un pentimento: “Succede che il fratello di mio padre, Angelo Fontana, nel febbraio 2006 collabora con la giustizia, sinceramente papà ha subito un colpo e decide nel 2007 di scendere a Palermo, secondo la sua mentalità, per dimostrare che lui non condivideva quelle che erano le scelte fatte dal fratello”.
Ricorda la scelta del genitore di non fare entrare i figli ufficialmente in Cosa Nostra, tanto che Gaetano Fontana, quando si trovava in carcere nel 1998, si rifiutò di partecipare alla cerimonia di affiliazione che gli avevano organizzato in cella: “Ho rinunciato perché non sono stati mai questi sinceramente i miei ideali… dopo tanti anni di carcere pensavo di esserci riuscito a farmi una famiglia, a fare il lavoro (aveva aperto una gioielleria a Milano) che a mi è sempre piaciuto lontano da Palermo, io non posso sempre essere associato alla realtà palermitana e a tutto quello che è mafia, io non sono un promotore di associazione mafiosa. Ma io lo giuro sui miei figli”.
Conferma che “ho ereditato purtroppo delle attività da mio padre perché me li sono ritrovati. Io con mio padre non ho avuto più un rapporto. Mio papà è uscito nel 2011, io vivevo già a Milano dal 2010″. Poi sembra lanciare un invito al fratello Giovanni: “Io vorrei che fosse mio fratello Giovanni al posto mio a chiarirlo, è meglio di me perché io alcune cose non le ho vissute direttamente, qualcosa indirettamente”.
Il giudice per le indagini preliminari Piergiorgio Morosini lo richiama nel corso dell’interrogatorio dello scorso ottobre: “Se lei comincia a dire ‘la mia un’apertura a 360 gradi’ dopo che finora lei ha negato praticamente tutti gli addebiti che le sono stati fatti allora le ripeto lei ha il diritto di negare tutto, è legittimo, o c’è qualcosa di nuovo ci fermiamo qui”.
Fontana nega, infatti, di avere avuto a che fare i fratelli Ferrante, con Giuseppe Corona e Sergio Napolitano, personaggi che rappresentano la fase più recente della mafia di Resuttana e dell’Acquasanta.
L’aspirante dichiarante si dice pronto a mettere sul piatto il suo patrimonio: “Mi devo disfare di tutti i beni immobili che ho ereditato da mio padre, io sono pronto a farlo però io voglio essere una persona libera e domani avere la possibilità di lavorare e di poter pagare le tasse con una normale cittadino perché non è tutta provenienza di mafia quello di cui io mangio, mi creda il mafioso non esce dal carcere e se ne va a studiare, va a fare la professione che gli piace, a me è piaciuto sempre da piccolo io non ho mai condiviso ideali di Cosa nostra o di cosa di tutti perché dico si dice Cosa Nostra ma è cosa di tutti”.
E di qualche bene parla subito: “Il locale del Bar Blen è nostro perché l’abbiamo ereditato da mio padre. Io non ho interessi ai Cantieri navali e mio padre con questo signore un certo Alicata Vincenzo adesso non mi ricordo cognato di Benedetto Marciante ha fatto una società e un certo Bruno. So che mio fratello percepiva uno stipendio da questo Roberto Giuffrida ma io personalmente non so di che cosa si tratta. Lo Stefan Bar l’ha acquistato papà nel 2013 e glielo dà a Gigi Pensavecchia…”.
Quindi si ferma e spiega che “qua non ci sono tutte cose, diciamo che rispetto a quello che c’è realmente ci sarà il 10% e neanche”. C’è molto di più da scoprire sui beni di famiglia.
Sugli affari in corso aggiunge che la “Caffè Moka era di mio padre” e lui vi è subentrato e che il fratello Giovanni ha una società che gestisce il trasporto con i carrelli al mercato ortofrutticolo.
E ripete ancora una volta che “io oggi non avrei alcun problema nel dire io sono il capo della famiglia dell’Acquasanta... perché magari andrò oltre su fatti nuovi su fatti che magari la Procura non sa che io intendo rivelare, io non ne ho problemi, non voglio che domani venga un collaboratore di giustizia a smentire quello che io dico perché la figura del nulla non la faccio, non so se rendo l’idea, cioè io personalmente ormai l’ho intrapresa questa strada e non torno indietro”.
Del passato ricorda le riunioni del padre con i Galatolo, Nicola Di Trapani, Giuseppe Guastella, Leoluca Bagarella, Salvatore Biondo. Racconta che Giovanni Brusca fece avere i soldi del pizzo imposto a un costruttore: “Io ho assistito a come vennero divisi quei soldi”. In un passato meno lontano ha incontrato Mariangela Di Trapani, moglie del boss Salvino Madonia, e Salvo Genova, pezzo grosso di Resuttana libero per fine pena da qualche anno.