Palermo, furti, rapine e pestaggi: i boss ordinano, il pentito esegue

“Facevo furti, rapine e pestaggi”: i boss ordinavano, il pentito eseguiva

La testimonianza del picciotto di Porta Nuova

PALERMO – “Facevo furti, rapine e pestaggi al bisogno”, spiega Alessio Puccio, pentito di Porta Nuova, all’udienza del processo per l’omicidio del boss Giuseppe Di Giacomo. Il suo racconto trascina nei maleodoranti bassifondi dei malacarne al soldo dei boss.

È la giungla di una città dove vale la legge del più forte, dove si fa la gavetta prima di diventare uomini d’onore. Un sottobosco popolato da molti giovani, alcuni dei quali sono gli stessi che vanno in giro la sera nei locali e provocano risse e danni.

Manovalanza che si muove su ordine di chi comanda. Una volta, racconta Puccio, “ho pestato a colpi di bastone dei nigeriani che spacciavano in via Imperatrice Costanza senza autorizzazione”.

L’autorizzazione sta alla base di ogni iniziativa. Da Giuseppe Di Giovanni e Giuseppe Incontrera (il primo è considerato il reggente del mandamento ed è processato a piede libero per scadenza dei termini di custodia cautelare, mentre il secondo è stato assassinato) Puccio riferisce di avere avuto il permesso per un maxifurto.

Il bottino fu pesante, ma Puccio rischiò di essere ammazzato ed è per questo che ha deciso di collaborare con la giustizia.

Presero di mira la titolare di una gioielleria. Puccio andò volontariamente a sbattere contro la macchina della donna.

Mentre si scambiavano i dati per l’assicurazione il pentito faceva finta di interessarsi alle condizioni di salute della donna (“perdevo tempo”), qualcuno le sfilò le chiavi di casa dalla borsa. Salirono nell’abitazione, la ripulirono, scesero e rimisero le chiavi nella borsa. Bottino 300 mila euro in oro e pietre preziose.

Puccio sostiene di avere fatto il colpo con “Barone Daniele, Sciacchitano Vincenzo e Antonino Reina (dalla vicenda è scaturito un altro processo ndr). Abbiamo deciso di non dire a Giuseppe Di Giovanni e Giuseppe Incontrera quanto avevamo preso, ossia 300 mila euro”.

Mentirono sostenendo che il valore della refurtiva fosse di poco superiore a 17 mila euro e diedero quattromila al mandamento che incassava una sorta di tassa su ogni colpo.

I mafiosi decidevano anche dove ripulire l’oro: “Oltre un certo peso, 500 grammi, lo portavamo da Vincenzo Lucà in corso Pisani. Pagamento in contanti e senza fattura naturalmente (i gestori del compro oro sono coinvolti in un altro processo, ndr).

Alle orecchie dei boss arrivò la voce della presa in giro. “Barone, Sciacchitano e Reina sono stati picchiati anche pesantemente”, mentre il pentito fu “convocato in un magazzino in via D’Ossuna ma gli ho detto che non sapevo niente”.

Non venne creduto: “Nel pomeriggio a casa mia, allo Zen, sono venuti i generi di Di Giovanni e siamo arrivati alle mani ed è partito un colpo di pistola. Sono scappato”.

Di pomeriggio si ripresentano di nuovo. “Mi dicono che volevano chiudere la cosa – aggiunge Puccio -, ma mentre preparo il caffè sento dire ‘domani se lo tirano'”.

Gli diedero appuntamento per l’indomani. Lo aspettavano, tra gli altri, “Di Giovanni, Incontrera e mi pare che doveva esserci pure Giuseppe Auteri (il boss arrestato dopo un periodo di latitanza, ndr). Sono scappato all’estero. Dopo un poco ho chiesto di parlare con il pm”. Il picciotto al servizio dei boss per il lavoro sporco ha deciso di collaborare con la giustizia.


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