Il boss dei Cappello non si pente, ma parla: “E’ tutto uno schifo”

Il boss dei Cappello non si pente, ma parla: “E’ tutto uno schifo”

Una lettera inviata al magistrato Roberto Di Bella

CATANIA – Potente, temibile, quasi famigerato. A Catenanuova, Giovanni Piero Salvo, lo conoscono come uno degli autori della “strage”, uno dei due assassini col casco integrale che sparò col kalashnikov contro ogni forma di vita una sera davanti a un bar del centro.

Un bilancio tragico ma placato solo dal fatto che non vi fosse molta gente in giro, nonostante fossero più o meno le nove di sera. Morì una persona, vittima designata dei killer, e ne rimasero ferite cinque, incolpevoli, solo perché ebbero la sfortuna di ritrovarsi lì. Il morto ammazzato fu Salvatore Prestifilippo Cirimbolo, appartenente a una cosca rivale.

Un uomo cambiato

Tuttavia oggi Salvo dice di essere un uomo diverso. In una lunga lettera racconta che il carcere lo avrebbe cambiato. Le sue condizioni di salute lo hanno cambiato. Tant’è che il suo avvocato, Giorgio Antoci, gli ha fatto ottenere la detenzione domiciliare.

Non ha alcuna intenzione di collaborare con giustizia. Non è un “pentito”. Non volterà certo le spalle alla “famigghia”, che poi mafiosamente parlando non è certo una qualunque – i “Salvo”, il clan del papà di Giampiero, detto “Pippo u carruzzeri”, sono praticamente i padroni del Villaggio Sant’Agata – e non accuserà nessuno.

La famiglia del resto ha già avuto in qualche modo un “pentito”, ma era un familiare acquisito, Filippo Passalacqua, che aveva sposato una sorella di Gianpiero. Passalacqua era l’altro uomo di quella strage di Catenanuova. I due erano assieme quella sera. Passalacqua poi si è pentito. Di lui Salvo non parla nella missiva.

Ma sta rivalutando in chiave critica la sua vita. E si racconta in una lettera al presidente del Tribunale per i minorenni di Catania, Roberto di Bella, in cui esordisce parlando già con rispetto a un uomo dello Stato, cosa che forse una ventina di anni fa non avrebbe neanche preso in considerazione, chiamandolo “Egregio presidente dottor di Bella”. Una lettera che circola negli ambienti.

La sua “fama”

Salvo scrive di non andare più fiero da tempo della “fama” che ha acquisito in questi anni. Dice di ammirare ciò che il giudice Di Bella fa nel quotidiano in favore dei ragazzi – il presidente è promotore del progetto “Liberi di Scegliere”, che ha portato fuori dalle famiglie della ‘ndrangheta un centinaio di minorenni – e che spera anche lui che quei ragazzi possano vivere in un “mondo migliore”.

“Condivido in pieno le sue idee, e sarebbe stata una buona cosa se ci fosse stata da sempre una persona come lei”, scrive Salvo, secondo cui se qualcun altro avesse operato così “già da almeno 35 anni, tanti ragazzi sarebbero stati sicuramente salvati (compreso il sottoscritto), e molti probabilmente sarebbero ancora in vita”.

“Il mio conto con la giustizia”

Io ormai da molti anni mi sono allontanato da tutto e tutti, ho avuto la forza la costanza e coerenza e l’intelligenza di capire che era tutto sbagliato e tutto uno schifo, e così uscirmene da tutto, e adesso ne vado fiero e orgoglioso di questa scelta”, prosegue.

 “Sto pagando ancora il mio conto con la giustizia – prosegue – e va bene così (sono detenuto agli arresti domiciliari per grave malattia ), sto pagando anche attraverso le gravi patologie che mi affliggono e costringono a muovermi in una sedia a rotelle, ma non mi abbatto lo faccio proprio per la mia famiglia, mia moglie e i miei figli”.

La proposta

 “In tutte le cose sbagliate della mia vita, sono stato fortunato ad avere una moglie speciale – sottolinea Salvo – che mi ha aiutato ad allontanarmi da tutto ciò, e nei periodi di mia assenza è riuscita ad educare egregiamente e a tenere lontani i miei figli , che oggi sono il mio orgoglio sia scolastico che lavorativo”.

Spiega poi nella lettera di essere “cresciuto anagraficamente e mentalmente”, di aver studiato e di essersi elevato culturalmente. E propone: “Vorrei rendermi disponibile e utile a poterla aiutare nel suo lavoro, dialogando con i ragazzi che sta togliendo dalla strada in modo che possa fargli capire che devono indirizzare la loro vita nella legalità e nel lavoro”.

“Si può uscire”

“E chi meglio di me potrebbe fargli comprendere che, chi loro vedono come miti non sono affatto tali, ma invece sono persone che come me hanno solo rovinato la loro vita e probabilmente l’hanno rovinata anche ad altri, e se lo dico io penso che abbia un certo valore visto che da molti ragazzi anche io sono stato visto come un mito o un esempio da seguire, cosa assolutamente assurda e sbagliata”.

”Io ad oggi ho scontato nella mia vita oltre 25 anni di detenzione, ben oltre la metà della mia vita, a breve compirò 47 anni, perciò nulla di cui andarne fiero, e per tanto sicuramente non un esempio del mio trascorso di vita, ma sicuramente posso fargli capire che da tutto ciò che è sbagliato si può uscire e si può cambiare vita”.

Dice di averlo fatto anche lui. “E forse adesso su questo aspetto potrò essere da esempio – sostiene, concludendo -. Ovviamente detterà lei tempi luoghi e quant’altro, sempre se lei riterrà questa mia richiesta e volontà, utile a rafforzare il suo già ottimo operato”.


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