PALERMO – C’era una volta un berlusconiano, un democristiano e un grillino. No, non è l’inizio di una barzelletta. Ma di una rivoluzione. L’ufficializzazione è arrivata nei giorni scorsi. Tra un comunicato stampa e una cena a base di ricci. Ma era, di fatto, già una realtà sancita dai tanti colloqui utili a formare la nuova giunta. Michele Cimino, Pippo Gianni e Antonio Venturino sono passati dalla parte della maggioranza di Crocetta. Hanno saltato il fosso definitivamente, “federandosi” ai Drs. Già. Perché i tre erano stati eletti tra le fila di partiti che l’esito elettorale di 16 mesi fa aveva destinato all’opposizione: Grande Sud, Cantiere popolare e Movimento cinque stelle.
Si tratta, a dire il vero, solo degli “ultimi acquisti”. Cambi di casacca che hanno mutato il dna della giunta di Crocetta. Un governatore che continua, soprattutto dopo le ultime polemiche con i partiti, a sottolineare il valore del “patto elettorale orginario”. Quello tra Pd, Megafono e Udc. Che oggi, però, stando solo a quei gruppi, “totalizzerebbe” appena 32 deputati. Altro che maggioranza. Appena un terzo dell’Assemblea.
Ma i deputati sui quali il governo della rivoluzione può contare, oggi, sono molti, molti di più. Almeno cinquanta. Com’è possibile? Semplice: il ‘brand’ della rivoluzione, nonostante i fallimenti e i passi falsi di questo anno e mezzo di legislatura sembra funzionare. Come funzionava, a dire il vero, l’ideologia “autonomista” di Raffaele Lombardo. Capace di mandare al diavolo il patto col centrodestra e cercare altrove la sua maggioranza. Altrove. Cioè ovunque. Come nell’era della rivoluzione.
Michele Cimino e Pippo Gianni, per intenderci, erano stati in passato persino assessori nel governo Lombardo. Quello nei confronti del quale il presidente Crocetta continua a dire di voler segnare una discontinuità, creare un solco. Cimino e Gianni, per essere ancora più precisi, facevano parte del governo Lombardo, diciamo così, di centrodestra. Quello pre-ribaltone. Quando Cimino era uno dei più promettenti dirigenti di Forza Italia e Pippo Gianni un “big” dell’Udc. Quest’ultimo oggi si trova a sostenere la giunta “delle donne” di Crocetta. Già, le donne. Che qualche anno fa Gianni, con una indimenticabile uscita, invitò, usando un eufemismo, a “non disturbare” gli uomini che fanno politica. Ma se deve essere rivoluzione, ovviamente, sia anche “rivoluzione dei costumi”, della mentalità.
La stessa che fin dall’inizio, ad esempio, ha portato tra le fila dei crocettiani anche un ex sindaco di Forza Italia come Nello Dipasquale, e affidato i propositi di rottamazione renziana a deputati come Giuseppe Laccoto, alla quarta legislatura, e Gianfranco Vullo che rivendica il proprio legame “spirituale” col Partito socialista. Ma almeno questi, (e tanto si potrebbe dire sugli ex lombardiani finiti a sostegno di Crocetta fin dalla campagna elettorale), hanno mantenuto il ruolo affidato loro dagli elettori: in maggioranza sono stati eletti. E lì sono rimasti, al di là dei trasferimenti in altre case.
Invece, la processione sulla via di Damasco, in questi mesi è stata corposa, affollata. E le conversioni alla causa rivoluzionaria sono state davvero numerose. E le piroette e i salti sono stati così tanti da trasformare Sala d’Ercole in un – metaforico – tendone da circo.
Balzi in certi casi persino imprevedibili. Oggi, infatti, a sostenere il governo (anche quello che nascerà sulla base del rispetto del “patto elettorale originario”), puoi trovare di tutto. Trovi, ad esempio, due ex cuffariani. È il caso di Valeria Sudano e Salvatore Cascio. Eletti col Cantiere popolare-Pid, l’area “cuffariana”, appunto, frutto della scissione dell’Udc, i due deputati sono passati ad Articolo 4, la nuova forza politica messa su da Leanza e Sammartino (eletti con la maggioranza, almeno loro). E in effetti, questa nuova formazione politica ha il “merito” di aver sottratto il maggior numero di deputati all’opposizione, contribuendo in maniera decisiva a rendere, quantomeno numericamente, più solida la maggioranza di Crocetta.
Già, perché nello stesso gruppo militano due deputati eletti addirittura dai partiti che hanno sostenuto il maggior rivale dell’attuale presidente. Pippo Currenti e Paolo Ruggirello, infatti, devono la loro elezione anche alla “Lista Musumeci”, abbandonata nel corso della legislatura per transitare tra i partiti alleati del governatore. Ultimo acquisto di Articolo 4, poi, è Maria Luisa Lantieri, eletta con Grande Sud, partito fondato da Gianfranco Micciché, fedelissimo al cavaliere persino nelle ore più difficili.
Ma a lasciare Grande Sud per passare alla corte di Crocetta è anche Edy Tamajo. Il trasloco, in questo caso, ha portato l’ex politico di centrodestra nel gruppo dei Democratici riformisti, fondato e sostenuto dal dirigente del Pd ed ex ministro Totò Cardinale. Il capogruppo dei Drs, poi, è Beppe Picciolo, eletto con l’Mpa di Raffaele Lombardo. Picciolo, quantomeno, ha un passato, nemmeno troppo distante nel tempo, nel Pd. In quel gruppo, poi, c’è anche Salvatore Lo Giudice, quattro partiti cambiati in una manciata di mesi. Tali da far quasi dimenticare l’origine. In campagna elettorale Lo Giudice corse al fianco di Nello Musumeci. Poi, appena giunto a Sala d’Ercole, lo lasciò. Lui fu il primo “saltafosso” della legislatura. Poi, lo hanno seguito in tanti. “E qualcun altro – sussurra beffardamente il presidente Crocetta – presto potrebbe aggiungersi”. Se vuoi fare la rivoluzione, in fondo, non puoi mica andare troppo per il sottile.