Il mistero del barcone scomparso - Live Sicilia

Il mistero del barcone scomparso

L’ultima chiamata arriva nel cuore della notte. E’ l’una del 29 aprile. Wafa Mejry, tunisina che da un anno e mezzo vive a Roma con il marito italiano, parla con suo fratello, Besir, 24 anni. Il ragazzo ha deciso di partire per l’Italia. E’ già sul barcone che sta per salpare da Biserta, sulle coste della Tunisia, e che su una fiancata porta anche scritto il nome: Sabra. “E’ tutto a posto, fra poco arriverò – dice alla sorella – In 24 ore sarò in Sicilia”. Ma di Besir e degli altri trenta che sarebbero saliti a bordo del Sabra non si sa più nulla. Nessun avvistamento, nessun soccorso. Inghiottiti durante la traversata nel Mediterraneo. Sono i familiari ad avvertire le autorità italiane del barcone disperso; per cercare il fratello, Wafa Mejry ha girato tutti i centri d’accoglienza siciliani. Fino ad arrivare questa mattina a Lampedusa e poi a Palermo, per parlare con il console tunisino, assieme a una madre disperata: Aljia Mecherguy, 60 anni. In quel barcone c’erano anche i suoi due figli, Anis di 32 anni e Wissem di 22. Non si dà pace Aljia che sperava di riunire la sua famiglia a Roma, dove vive da 22 anni dopo la morte del marito in un incidente in Francia. “Aiutatemi a trovare i miei figli – riesce a dire tra le lacrime – Non possono essere morti, la barca era nuova e il tempo era buono”. I due fratelli non riuscivano a trovare lavoro.

La scorsa estate Anis aveva fatto il sommozzatore, ma dopo tre mesi nessuno stipendio. E allora ha deciso di tentare la sorte e raggiungere la madre con Wissen, lasciando in Tunisia la moglie e il figlio di un mese. A Roma avrebbero ritrovato anche le due sorelle e un fratello. Così Anis ha venduto tutti i mobili ed é partito assieme al fratello pagando tre milioni di dinari, circa 1.500 euro in due, a Abde Rahim Noulou, “il capitano”. Era lui ai comandi della barca scomparsa. Il “rais” tentava la traversata per la quarta volta nel giro di poche settimane. Sarebbe stata l’ultima, o almeno così aveva detto alla moglie che aveva promesso di raggiungere in Francia. Ma anche del capitano non si sa nulla. Domani la moglie sarà a Lampedusa per cercarlo. “La donna ci ha detto – racconta Wafa – che, secondo alcune informazioni, alcuni dei 31 dispersi sarebbero a Lampedusa, ma noi non abbiamo trovato nessuno”. Come le protagoniste di una tragedia greca Wafa e Aljia girano da quasi un mese con le foto dei loro congiunti in mano: sono andate a Trapani, a Marsala, a Lampedusa, a Palermo. Il console tunisino ha detto che bisognerà aspettare martedì prossimo per avere la lista degli arrivi dopo il 29 aprile. “Il questore di Roma non è riuscito ad aiutarci – dice Wafa – ha cercato e ricercato i loro nomi e le loro foto nell’elenco degli arrivi. Sembrano scomparsi nel nulla”. La madre di Wafa, che vive nel sud della Tunisia assieme al marito e ad altri quattro figli, non voleva che Besir partisse. Ma il ragazzo è ostinato, va al mare e comincia a nuotare per ore per essere pronto in caso succeda un naufragio.

Qualche giorno prima di partire mi ha chiamato – spiega Wafa – e mi ha detto che era riuscito a nuotare per sei ore consecutive. ‘Adesso parto – ha detto alla sorella – e se mi rimandano in Tunisia mi ammazzo'”. L’imbarcazione forse doveva fare rotta su Pantelleria piuttosto che su Lampedusa. In questo modo, i tunisini speravano di non essere rispediti in patria. L’ultima speranza, alla quale si aggrappano disperatamente le due donne, é che siano arrivati nella notte proprio sulle coste trapanesi, facendo poi perdere le proprie tracce. “Ma ogni giorno che passa è una pietra sul cuore”, ripete Aljia senza riuscire a trattenere le lacrime.

(di Simona Licandro-Fonte Ansa)


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