Viso segnato dal tempo, un po’ pellerossa, tipo Luciano Ligabue fra quindici anni. Fino a qualche anno fa Giuseppe Papadopulo ravviva artificialmente i capelli di un colore improponibile. Da un po’ di tempo la chioma è tutta al naturale, schietta. E schietti sono i suoi modi e il suo comportamento, come la sua visione semplice del calcio che porta avanti, lontana anni luce dalle teorie di certi scienziati del pallone…
Nessuno può dimenticare come seppe raddrizzare l’annata storta con Del Neri sulla panchina rosanero. E prima ancora, ai tempi del Siena, realizzò il suo capolavoro: in tre anni una retrocessione evitata in C-1, una promozione in A e una salvezza nel massimo campionato. È lui il pericolo maggiore del Bologna che arriva allo stadio Barbera. Un campione di tenacia, un uomo che come pochi sa dare la carica. Un “animale da stadio”, uno che non si ferma mai quando c’è da lavorare in campo, uno che non ha paura. Sposato con la signora Daniela ha due figli, Enrico e Silvia, tante virtù e pochi vizi: quando torna in Toscana si prende cura dei suoi cani e dei suoi cavalli.
Non conosceva Zamparini all’epoca del suo passaggio in rosanero. Credeva che i risultati bastassero, che la riconferma fosse cosa fatta. Il presidente del Palermo prima gli rinnovò il contratto, poi – con una rivoluzione copernicana delle sue, roba d’ogni giorno – richiamo Guidolin. Papadopulo non è persona che serba rancore. Ma è uno che vuole vincere a dispetto di tutto, per restare in serie A, dove sente di allenare con merito.
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