Rapporti “patologici” con i carabinieri. Ancora peggio con la guardia di finanza, in particolare con i vertici provinciali nisseni. E ancora incroci pericolosi con i servizi segreti. Quello che viene messo nero su bianco nelle motivazioni della sentenza di condanna dell’ex presidente della Confindustria Antonello Montante è il livello di penetrazione che l’imprenditore assurto a paladino dell’antimafia aveva raggiunto tra le forze dell’ordine.
Un livello che avrebbe consentito, secondo il gup che ha accolto l’impostazione dei pm, di utilizzare a fini provati persino le indagini e gli accertamenti “anche per colpire gli avversari, mediante verifiche fiscali mirate e talvolta pretestuose”. Il timbro di affidabilità apposto su Montante dalle istituzioni è stato un elemento chiave per assicurare l’efficacia di quella “doppia faccia” che diede nome all’inchiesta nissena.
E tra le istituzioni, il ruolo di figure di spicco delle forze dell’ordine è emerso in questa prima tranche che ha portato alle condanne del processo abbreviato. Un ruolo che sarebbe stato ricompensato con quello che è stato individuato come il prezzo della corruzione dei pubblici ufficiali condannati. Ma, si legge nella sentenza, “i rapporti tra Montante e la guardia di finanza trascendevano gli orizzonti provinciali, attingendo a vari livelli regionali e persino nazionali”. Nell’inchiesta sono stati intercettati finanzieri che fra loro parlavano di come Montante fosse in grado di “dettare legge” tra le fiamme gialle e commenti sul “potere assoluto” di “Antonello” a Caltanissetta, nei riguardi di forze dell’ordine, politica e magistratura. Un’analisi che, si legge nella sentenza, “è un monumento di sintesi”. Ed efficace è il riferimento captato nella stessa conversazione all’antimafia come “grande business”, un’etichetta da mostrare per fare carriera e occupare posti di potere. Si faceva tappa nei convegni, si firmava un protocollo di legalità, si proclamavano svolte etiche con il solo obiettivo, secondo il giudice, di avere più facilità di movimento.
E così nella sentenza si parla di “opera di squadrismo assicurata dalla guardia di finanza”. Ma non solo, si fa espressamente riferimento alla copertura istituzionale di cui godette Montante, quella copertura che attribuì all’imprenditore una credibilità che lo rafforzò oltre misura. E che appare il centro della peculiarità del “sistema” che avrebbe avuto al centro l’imprenditore di Serradifalco. Ad esempio si fa riferimento alla scelta di organizzare il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica nel 2013 a Caltanissetta, delocalizzandolo per la prima volta dalla Capitale. Le motivazioni della sentenza parlano di “assedio alle istituzioni” organizzato da Montante. Ma quelle istituzioni, anche in buona fede, attribuirono un significativo passepartout di credibilità all’imprenditore.
E in effetti per spiegare la pena più lieve comminata all’ex comandante della Finanza di Caltanissetta Gianfranco Ardizzone, il giudice fa riferimento a un “condizionamento ambientale” che avrebbe influito sulla sua condotta, ricordando che i vertici regionali della Finanza invitavano i finanzieri nisseni ad “andare a braccetto” con Montante e come alcuni magistrati nisseni avevano preso pubblicamente le difese di Montante in eventi pubblici. Si citano Sergio Lari – ma il gup ricorda che l’inchiesta su Montante fu avviata dalla procura proprio quando Lari ancora la guidava – e Salvatore Cardinale (“che nulla poteva sapere dei fascicoli penali e tributari” detenuti dalla Finanza di Caltanissetta”, tiene a precisare il giudice) “certamente perché convinti dell’autenticità della svolta legalitaria di Confindustria” in quel momento storico. E quindi, scrive il giudice, “non può negarsi che l’ufficiale si fosse trovato inserito in un contesto di diffusa idolatria del personaggio di Montante, appoggiato dalle gerarchie superiori della Guardia di Finanza, da ministri della Repubblica, da presidenti della Regione siciliana e, apparentemente, anche dalla magistratura, per cui contrapporsi allo stesso era un’operazione che non poteva no apparire prometeica”. Fu proprio la magistratura nissena, nelle sue più alte cariche, a celebrare la svolta etica della Confindustria di Montante. Un modello da seguire che, anni dopo, sarebbe stato smascherato. Le indagini hanno fatto emergere che si sarebbe trattato di un bluff.