"Il prossimo Rettore non disperda l'opera di Antonino Leonardi" - Live Sicilia

“Il prossimo Rettore non disperda l’opera di Antonino Leonardi”

di Isidoro Pennisi. Il ricordo dell'uomo che forse più di altri ha amato il plesso dell'ex Monastero dei Benedettini.

CATANIA – Non so se questa è una lettera aperta a una città che, pur avendomi dato i natali, sono tornato a vivere, volontariamente, solo in età matura. Sto imparando a conoscerla, ad abitarla apprezzandone un habitat necessariamente maestoso, che altrimenti soccomberebbe di fronte alla Grande Signora della natura che la controlla e la guida. Scrivo per un motivo preciso, che potrebbe somigliare a una questione d’onore, se a questa parola è ancora possibile assegnare un senso non retorico. Proverò a motivare perché mi stia “prendendo una questione”, come si dice qui, interna alle vicende dell’Università di Catania che andrà, nei prossimi giorni, a rinnovare la più alta carica dell’Ateneo. Situazione che ben conosco, perché pure io lavoro in un’Università. La questione che mi prendo è figlia di una fortuna. Ho avuto, infatti, il privilegio, guidando una Tesi di Laurea su Giancarlo De Carlo e le vicende del Monastero dei Benedettini, d’incontrare più volte, parlare, saccheggiare la vivida e lucida memoria di Antonino Leonardi che, per l’intera vita adulta, ha servito l’Università di Catania, lavorando nell’Ufficio Tecnico.

E’ morto verso la fine dell’anno passato, senza che potessi rendergli omaggio, come meritava. Di quei proficui incontri, da quella miniera di conoscenze di cui ho usufruito, una cosa su tutte mi è tornata in mente quando ho saputo della sua morte. Ed è questa che voglio sottoporre a chi si candida a guidare il prossimo futuro dell’Ateneo. Una questione che ritengo tanto importante da volerla porre pubblicamente. Antonino Leonardi, tra le tante cose che ci disse in quelle lunghe interviste, tornò più volte su un aspetto che, per lui, era lucidamente un cruccio. Era preoccupato, da conoscitore della realtà culturale che viviamo, cui non è estranea l’Università, che quella mole di documenti, che lui custodiva, continuava a implementare, in cui si racconta cosa sia stata l’avventura edilizia, organizzativa, storica, del recupero e della nuova funzionalizzazione del Monastero Benedettino, potesse andare perduta, dopo la mancanza, forzata, delle sue attenzioni.

Non era un cruccio sentimentale. Antonino Leonardi non mi è sembrato, in quasi nessuno dei momenti della lunga intervista, una persona che potesse perdere di vista il ruolo che le vicende gli avevano assegnato. Il suo cruccio era di tipo documentale, storico, sociale. Si sentiva responsabile di un principio di continuità, era preoccupato delle diffuse dimostrazioni contrarie, dalla disattenzione e incuria, rispetto a ciò che altri, prima di noi, hanno compiuto. Sapeva che è un cattivo costume del nostro tempo pensare al domani, immaginarlo, pretenderlo, senza sentire il normale bisogno di fondarlo, non su un generico passato, ma sulle tracce e gli sforzi delle generazioni, completandole e compiendone le speranze. Un cattivo costume cui l’Università dovrebbe sfuggire, non avvalorandolo, ma che non fa con facilità.  Per questo lui continuava ad andare nel suo ufficio, pur non avendone più il diritto o il dovere, ben oltre la conclusione ufficiale del suo lavoro. Lo faceva ogni giorno, per continuare a tenere in vita quell’archivio ordinato, fatto di carte, disegni, foto, libri, oggetti, in cui si racconta una delle avventure edilizie più spettacolari svolte in Europa, di un sapore e un’ambizione ancora di tipo rinascimentale.

Una di quelle imprese edilizie che hanno senso solo attraverso un patto intergenerazionale, in cui chi viene dopo continua ciò che è stato fatto prima. Antonino Leonardi era preoccupato che, in sua assenza, tutto ciò potesse andare perduto. Ecco, allora, cosa chiedo ai tre candidati alla guida dell’Ateneo di Catania. Che cosa vogliono fare con questo lascito, che non è di Antonino Leonardi, custode intelligente, ma di tutti quelli che, nel tempo, hanno pensato a quest’impresa, rendendola possibile con il loro lavoro, offrendo menti e braccia a un obiettivo alto? Hanno intenzione di valorizzare questo lascito, che è parte della storia dell’Ateneo che si apprestano a servire e guidare? A valorizzarlo non in maniera semplicemente archivistica (che sarebbe il minimo) ma in modo tale che diventi una sorta di valore aggiunto? Credono che valga la pena, pensare a una loro organizzazione, funzionale a una memoria operativa, così come, ad esempio, si è fatto per i materiali di Gaudì a Barcellona, per ciò che riguarda la grande fabbrica della Sagrada Famiglia? Perché è questo che io credo di aver capito.

Ciò che si è fatto sul grande corpo di fabbrica dei Benedettini, non è opera minore rispetto a quella del grande catalano. Ho capito il valore dell’impersonalità e dell’anonimato, senza il quale una grande opera, anche firmata da personaggi di valore, non può essere realizzata. Era un mio sospetto, ma che non aveva le prove che io ho trovato parlando con Antonino Leonardi e per merito di Tania Vadalà, la laureanda che compì il lavoro. Un insegnamento che va oltre le questioni del costruire edifici, e che mi fa vedere con occhi ancora più misericordiosi tutti quelli che, come me ancora da ragazzo, credono che la vita personale sia solo farina del sacco della persona stessa. Non cerco l’attenzione dei tre candidati solo perché Antonino Leonardi e il Convento dei Benedettini sono, in maniera diversa, parte del capitale storico dell’Ateneo che si candidano a guidare. Io credo che l’Università debba ritornare a forgiare esempi che diano il modo a chi osserva di ripensare alcune prassi con cui si guidano le istituzioni pubbliche.

A cosa serve l’Università? Federico II di Svevia non ebbe dubbi. Fondando a Napoli un’antica Università, fece capire che questa serviva per dotarsi di un capitale umano cospicuo e non estemporaneo per le sue ambizioni di governo. L’Università serve a formare un sapere diffuso che possa concedere una visione comprensiva del vero. L’Università è un luogo che propone educazione pubblica. Quest’ultimo termine, a me sembra più ambizioso. Evoca che sulla nostra natura umana può esercitarsi, volontariamente, un’azione che mira alla formazione di un certo carattere. Un professore, che responsabilmente lavora in un Università, ha dei doveri verso la società umana, verso lo Stato al quale appartiene, verso l’ambiente nel quale ci sviluppiamo, verso gli individui con i quali intratteniamo relazioni d’ogni specie. L’Università non è stata istituita per dare al mondo, poeti, autori, scienziati, chiamati all’immortalità. Il mondo, in sé, è capace di fornire, in qualsiasi caso, Aristotele, Newton, Raffaello, Brunelleschi, Annibale e Leopardi. 

Il compito strategico dell’Università è solo, in apparenza, più ordinario. Ed è quello d’elevare, in maniera diffusa, il livello intellettuale di una comunità; di coltivare lo spirito di un popolo; di sostenere e districare gli umori popolari; di sciogliere in un progetto unico le aspirazioni singole; di fecondare le idee del tempo, sviluppandole nella moderazione; di rendere, quindi, più facile l’esercizio del potere politico. L’educazione universitaria educa la donna e l’uomo alla lucidità delle proprie opinioni particolari, ai giudizi che si esprimono, elevando la capacità di formularli con verità, esporli senza demagogia e con la forza del vero. E’ in questo quadro, dentro un’eredità del genere, al momento messa da parte dalle vicende contemporanee in cui l’Università sembra seguire altre strade, che Antonino Leonardi ha servito la propria istituzione ben oltre un dovere d’ufficio.

Io non so cosa ne pensino i tre candidati dell’attuale situazione di fase, dell’Istituzione Universitaria, o in che modo intendono porsi, per ciò che sarà di loro competenza, interpretando il ruolo di Rettore. Vorrei che esprimessero, però, un’idea su ciò che possono impegnarsi, programmaticamente, a fare, nei confronti della memoria di Antonino Leonardi e della pagina di storia che ho descritto. Non credo che sia una domanda inopportuna. Voglio chiudere ricordando cosa ci disse, Leonardi, nel rispondere a una domanda sull’esecuzione del giardino pensile vicino all’Impianto Termico dei Benedettini. Giancarlo De Carlo, quando si trattò di scegliere la vegetazione, giustificò la scelta di piantare la Lavanda, perché quel profumo e quella pianta erano le preferite dal suo amico Elio Vittorini. E’ possibile compiere scelte che riguardano l’inedito ricorrendo a riferimenti materiali della storia personale e collettiva? Io credo razionalmente alle mete di miglioramento progressivo che siamo tenuti a cercare, ma so per certo che possiamo centrare quest’obiettivo solo se continuiamo, una generazione dopo l’altra, a compiere ciò che altri hanno lasciato in sospeso e, contemporaneamente, fondare nuove eredità senza testamento, ma che abbiano profumi evidenti, forti, lunghi, che invitino a continuare senza paura l’opera anonima di una città, con una volontà, cocciuta e siciliana, come quella di Antonino Leonardi.

Isidoro Pennisi, docente presso l’Università degli Studi “Mediterranea” di Reggio Calabria

La foto è di Nicola Tassone.


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