Il referendum e il fronte del "Ni" |Quelli che non si schierano - Live Sicilia

Il referendum e il fronte del “Ni” |Quelli che non si schierano

E’ accettabile la pubblica manifestazione di indecisione proprio nei luoghi deputati alla cultura, segnatamente le Università?

Intellettuali e prudenza
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A pochi giorni dal referendum costituzionale che deciderà, forse, le sorti del Paese, forse, quelle del governo, o, forse, né le une e né le altre, un’analisi non superficiale rivela quanto i ‘se’ e i ‘ma’ si sprechino nell’incerto tentativo di spiegare agli italiani che cupe ombre dittatoriali si addenseranno sulla vittoria del Sì, ovvero che un altrettanto buio Medioevo seguirebbe la vittoria del No. La confusione impera, e sarà probabilmente foriera di un selvaggio astensionismo, perché se molti non sono convinti che basti un sì, o che una brutta riforma sia meglio che nessuna riforma, altrettanti non condividono che un no delegittimi il governo e liquidi il renzismo attraverso un referendum piuttosto che con elezioni politiche. Nei dibattiti pubblici, i toni sono privi di eleganza e le parole prive di chiarezza, e il fiume di magma che scorre tra le due opposte sponde si addensa sempre più vasto e minaccioso. Difatti, tra il Sì e il No si colloca, fiero di sé, il fronte del Nì. E non parliamo del dubbio dell’uomo comune, che con velato dispregio viene più volte al giorno citato da raffinati intellettuali e giuristi di rango per spiegare a se stessi come il popolo non abbia idonee chiavi di lettura degli attuali eventi. Ma del dubbio con la D maiuscola, quello strumento filosofico, propulsore del progresso, del quale ci si appropria per stare a guardare dall’alto che aria tira.

Non avversiamo il dubbio: il dubbio è indispensabile. Da tempo immemorabile conviviamo con la sua continua presenza. Il sublime Voltaire sembra abbia detto che il dubbio è scomodo, ma solo gli imbecilli non ne hanno; e Borges ha scritto che dubbio è uno dei nomi dell’intelligenza. Il dubbio è la costante verifica di tutto quel che pensiamo e facciamo. Talvolta però, nella vita, è necessario decidere e agire.

Accade invece che imperscrutabili ragioni stiano dietro prudenti silenzi o mancate prese di posizione. Sono le piccole o grandi miserie che derivano dalla umana debolezza, in generale, e dalla peculiare condizione di questo Paese, che è diventato post-moderno senza esser stato davvero penetrato dalla modernità, nel quale si scopre che i sudditi non si sono evoluti in cittadini. Il vizio di fondo del ‘fronte del Nì’ risiede nel fatto che alle soglie del giorno in cui sarà necessario un comportamento attivo, che implica una scelta (ideologica, politica, pratica, persino di convenienza, ma comunque una scelta), si stia ancora lì a torcersi sui massimi sistemi e sulla propria gloriosa indecisione, che dovrebbe, pure, avocare meriti.

Non basta dunque la confusione causata dall’ignoranza? E’ accettabile la pubblica manifestazione di indecisione proprio nei luoghi deputati alla cultura, segnatamente le Università? Abbiamo dovuto tollerare il propalarsi dell’idea assurda che sia possibile una esposizione oggettiva dei termini del confronto referendario fatta da soggetti neutrali, quando a chiunque sia dotato di raziocinio è chiaro che nessuno potrebbe mai rappresentare le diverse idee in campo con oggettività, a meno che non fosse il meccanico ripetitore delle opinioni dei contendenti in un agone quanto mai complesso e articolato. L’unica possibile oggettività scaturisce dalla dialettica tra visioni contrapposte e dichiaratamente di parte. Tutto il resto è mistificazione e, secondo un noto assioma, o deriva dalla malafede, oppure dall’ignoranza: su quale delle due barricate preferirebbero arroccarsi i signori del nì?

Taluni incontri sulla riforma, svoltisi in sedi prestigiose, hanno visto la profusione dell’impegno di giuristi, sociologi e politologi che preferiscono non manifestare il proprio convincimento, lasciando al pubblico le congetture, più o meno fondate, su come voteranno. Nel corso dell’esposizione delle due opposte opzioni di voto si registra così uno squilibrio oggettivo; poiché la millantata ‘neutralità’ è contraria a ogni principio di scientificità, ogni iniziativa condotta con tali presupposti, seppur lodevole in astratto, risulta minata alle fondamenta non da un dubbio cartesiano, ma dal dubbio, di bassissimo profilo, di essere presi in giro.

Nelle massime istituzioni culturali del Paese, s’aggirano intellettuali che si dichiarano obiettivi: ma (ci permettiamo anche noi di esprimere un dubbio), forse non sono né l’uno e né l’altro. Chi non ha una propria ipotesi interpretativa e tuttavia ha la pretesa di discuterne pubblicamente, forse indossa i panni dell’agnello per agire da lupo. Il problema non è non credere che sia possibile una mera descrizione dei contenuti della riforma, che asetticamente ne elenchi pregi e difetti, ma constatare quanto sia facile esercitare un diffuso presenzialismo senza tuttavia prendere apertamente posizione. È un metodo viziato, le cui ragioni sono diverse, ma hanno tutte hanno un denominatore comune negativo. Chi non vuol essere un esempio di coerenza, che almeno si taccia. E se non si vuole generare il sospetto che chi è incerto attenda di vedere chi vince prima di esprimere il suo punto di vista, si ricordi che soltanto la contemporanea partecipazione di soggetti apertamente dichiarati o per l’uno o per l’altro schieramento può, nel corso di un incontro di qualsiasi genere, sia di alto profilo costituzionale che da bar di periferia, generare un’informazione equilibrata. In modo ben più sottile, visto che se ne sono caricati il peso, alleggerisce poi i relatori dell’onere di sostenere una tesi che non condividono o che, persino, avversano. Ma solo nel loro foro interno.

Riguardo a quello esterno, e al coraggio delle idee, una millenaria tradizione di abiezione politica e morale ha bloccato la crescita del senso critico specie nelle nuove generazioni. Nel 1876 Carducci scriveva che ‘i giovani non possono generalmente esser critici; e, per due o tre che riescano, cento lasciano ai rovi della via i brandelli del loro ingegno, o ne vengono fuori tutti inzaccherati di pedanteria e tutte irte le vesti di pugnitopi: la critica è per gli uomini maturi’. Ma l’arte della critica, per non dire di quella dell’autocritica, diserta ormai anche le generazioni più adulte, troppo preoccupate di essere prudenti nel manifestare le proprie opinioni.

La prudenza, come è noto, è una virtù cardinale, e consiste nel retto discernimento delle azioni umane. Guida l’uomo affinché rifletta e non sia dedito solo all’agire. Una prudenza eccessiva risponde a un istinto di conservazione molto forte; forse troppo. Che sia viltà?


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