Il rosario elettronico, istruzioni per l'uso - Live Sicilia

Il rosario elettronico, istruzioni per l’uso

Boom di vendite in Sicilia
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L’agenzia, è proprio il caso di dirlo, recita così: “La Sicilia, da sempre una delle regioni italiane più profondamente devote, conferma anche oggi la sua antichissima tradizione legata alla religione e alla spiritualità, ancora di più quando questa va di pari passo con l’innovazione e la tecnologia. È quanto emerge dai dati di vendita del Rosario Elettronico “ioPrego”, ideato e distribuito da Eurodigital Equipment, che registra nella regione siciliana una vendita di 1.500 esemplari al mese, con una media di 50 rosari al giorno”. E che acquasanta (l’esclamazione “diavolo” non sembra appropriata) di prodotto sarebbe? “Un dispositivo nato per guidare il fedele alla recita del Santo Rosario. ‘In una terra dalla religiosità così profonda e sentita come la Sicilia dimostra quanto Fede (maiuscola) e tecnologia possano unirsi armonicamente per soddisfare le esigenze del fedele di oggi”, spiega Vincenzo Coccoli, presidente di Euro Digital Equipment. Il finale è tra il solenne e l’agghiacciante: “Quest’estate, pertanto, la Festa di S. Agata a Catania o la Festa di Santa Rosalia a Palermo potrebbero essere ancora più tecnologiche”.

Prima di immaginare la Santuzza che si difende con l’olio bollente dall’alto del suo santuario in occasione dell’acchianata dei fedeli ipertecnologici, bisogna rendersi conto. E per rendersi conto è opportuno scavare nella memoria. Nei ricordi di chi scrive c’è una zia Clelia, incartapecorita e conosciuta già da ipercentenaria. In certi pomeriggi di semi-assopimento la Zia Clelia sgranulava le poste di Rosario con l’ausilio dell’attrezzo preposto allora. Una semplice coroncina monocromatica che scintillava tra le sue dita nodose e scorreva con ineffabile leggerezza tra le falangi di una donna in evidente competizione con l’eternità. Le parole biascicate attraversavano la poca luce del soggiorno, lì Zia Clelia soleva appollaiarsi su una mezza poltrona, in un polpettone di periodi salmodianti smozzicati. “Ava Maria,… zia… cotte… etta… amen”. Man mano che l’abbiocco della vegliarda avanzava, la preghiera si accelerava. Al sipario dei misteri dolorosi la Zia reclinava il capo, in una domestica e tenera imitazione di Gesù sulla Croce.

Ora, prima di giudicare, è giusto domandarselo. La Zia Clelia avrebbe tratto giovamento dal Rosario con voce guida e coro angelicato sullo sfondo? Chissà, formula dubitativa. Ne avrebbero gioito sicuramente la sua cataratta, la sua fatica, la sua voce flebile, le sue dita nodose e intrecciate. Ma la sua anima e la sua fede (minuscola, fragile eppure grandissima) no. Mai la Zia Clelia avrebbe scambiato la sua unica coroncina con l’elettronica e i suoi agi. Lei, in quella nenia di preghiera, voleva stare accanto al “Signuruzzo in croce”, come lo chiamava, chiodo su chiodo. Voleva condividere un infinitesimo della sua fatica, del suo dolore, per come ce l’hanno raccontato. E voleva, infine, reclinare il capo, al traguardo di tutte le preghiere, per provare a imitare la morte in burocratica attesa del cielo che avrebbe premiato la sua esistenza candida. Per non avere paura della falce, come capita ai fiori.


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