Il senatore che disse 'no' | a Beppe Grillo - Live Sicilia

Il senatore che disse ‘no’ | a Beppe Grillo

Dai suoi primi passi nella piccola sezione del Pds di via Maltese allo scranno a Palazzo Madama e la presa decisa di posizione riguardo il presidente del Senato. Ecco chi è Francesco Campanella.

PALERMO – Molti anni fa, in via Maltese a Palermo, c’era la sezione San Lorenzo. Il senatore grillino Francesco Campanella, Franco per gli amici – determinante, come si sa, per la vittoria di Piero Grasso – ha cominciato lì. La sezione era scavata in una sorta di magazzino protetto da una saracinesca. Il segretario era Davide Faraone, un altro che stava iniziando a muovere i suoi passi su un terreno che gli sarebbe divenuto familiare. Il rapporto col Pd, allora Pds, si configurava secondo le regole di un gruppo dirigente chiuso che non ascoltava la base. Oggi sarà cambiato? Ed era tutto un infervorarsi e spumeggiare di proposte, analisi e critiche nella sezioncina di via Maltese, affacciata sulla tipica povertà di Palermo che nessuno scorge, perché non è eclatante come altrove. Era un fiorire di agende, idee e bollicine. Che mai oltrepassavano il muro secco di quel locale. Le bolle di sapone del dibattito si gonfiavano a dismisura. Veleggiano per rivoltare il mondo. Presto si afflosciavano con un plop. Il partito si tappava le orecchie, perseguendo la sua personalissima strategia di conservazione, sorretta dal dogma: meno siamo meglio è. In pochi, si riesce a comandare con più forza.

Franco Campanella era un militante appassionato. Ostentava una barba francescana. Reggeva con orgoglio il solito maglioncino stinto. E – scusate il termine che rende alla perfezione – si incazzava come una bestia. Si incazzava quando la gente a sinistra rimaneva inascoltata, quando da Roma e dal palazzaccio di corso Calatafimi, sede antica e poi dismessa del Pds, si rispondeva con un impenetrabile silenzio alla voglia di rinnovamento che ribolliva, prima che esistessero Grillo e Casaleggio.

Franco sapeva parlare a puntino, alternando il registro della passione alla lucidità. Era il migliore dei due oratori di cui quella particola politica disponesse. L’altro era, modestamente, il sottoscritto. Ci piacevano le inutili discussioni dietro la saracinesca. Ci sembrava di contare qualcosa e che la nostra voce potesse arrivare dove prima non era mai stata, sulla luna di un paese migliore. Eravamo tutti e due – il senatore e indegnamente appunto il sottoscritto – convinti che il nostro impegno sarebbe stato premiato, non in soldi, in carriera, in cariche. In civiltà. E così nella sezione di via Maltese, complice Faraone, si facevano le ore piccole, sfogliando le relazioni, preparando i volantini, chiacchierando, mangiando, bevendo, fumando e parlando di politica con accenti vividi, manco si parlasse d’amore.

Il senatore Campanella era anche un uomo spiritoso. Una volta commentò così le effusioni a suo danno di uno che chiedeva voti: “E meno male ca un si nni partiu pa cerniera”. Motto siciliano quasi incomprensibile per i forestieri. A significare, per via di metafora, l’eccessiva attenzione del suddetto molestatore. La sezione chiuse i battenti. Il partito decise di troncare ogni rapporto col territorio. Quel piccolo faro sulla povertà di San Lorenzo si spense.

Ho rivisto Franco qualche anno fa. Lui non era ancora un grillino, ma conservava la sua idea pura e combattiva della politica. Era scoraggiato: “In questa città non si muove foglia. Non c’è niente da costruire. Mi scippassi i capiddi”. Sempre per i non siciliani: mi strapperei i capelli. E’ una delle nostre massime espressioni di sconforto. Racconta una disperazione che non sa più mutarsi in speranza.

Strade diverse, alla fine della storia. Io sono diventato giornalista. Ho strappato, non i capelli superstiti: la tessera. Un cronista ha il diritto di esprimere le sue idee, ma la militanza gli toglie nerbo e credibilità. Franco è diventato senatore della Repubblica. Non è un uomo docile e ragiona con la sua testa, caro Beppe. Attento ai capelli (soprattutto di Casaleggio).


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