PALERMO – Aveva aperto soltanto da un mese quando quella bottiglia di champagne è stata rubata dal suo locale. Valore: poco più di duecentocinquanta euro, ma quello che avrebbe perso sarebbe stato presto molto di più. “Basta, ho chiuso i battenti”. E’ rassegnato, deluso, arrabbiato, il titolare del Mozzica Cafè, il locale preso di mira dal branco di giovanissimi che, per vendicarsi della denuncia di furto l’hanno pestato a sangue. “Ho perso l’entusiasmo, è questa la verità, e non vale più la pena andare avanti”. Alessio D’anna, 35 anni, racconta di avere aperto il suo bar-ristorantino con passione, con la voglia di tornare finalmente nella sua città dopo anni trascorsi in Germania:
“Ma il risultato è stato questo, purtroppo. Adesso mi ritrovo con una cicatrice su un sopracciglio, un locale chiuso e infinita amarezza”. La banda ha assaltato il suo locale portando con sé spranghe, chiavi inglesi ed altri oggetti in ferro: “Dentro il locale c’era anche mia madre e proprio per permetterle di uscire senza che si facesse male, i cinque sono riusciti a colpirmi. Per fortuna sono stato in grado di difendermi, ma non è finito tutto lì. Dal maledetto giorno dell’aggressione non ho avuto pace, perché alla violenza di cui sono stato vittima fisicamente si è aggiunta quella psicologica dei cittadini.
Chi vive nel palazzo in cui c’era il mio locale, infatti, ha cominciato a chiamare la polizia praticamente ogni sera. Forse hanno pensato, in modo abbastanza superficiale, che avessi a che fare con qualcosa di losco e così, con la scusa della musica, del brusio o dei rumori, mi ritrovavo sempre a dover discutere inutilmente: la mia attività ne ha risentito tanto, nonostante tutto fosse in regola la clientela è diminuita. Eppure – continua – i primi tempi stava ingranando bene, ero molto ottimista. nulla mi avrebbe potuto far pensare al vortice di pessimismo in cui mi ritrovo e che mi ha fatto optare per la chiusura”.
In piazza Unità d’Italia, al civico 15, le porte sono chiuse da fine gennaio: “Sto vendendo tutto, compresi tutti i pezzi d’arredamento. Se penso a quello che ho provato nei giorni successivi all’aggressione provo la stessa amarezza di quel periodo, mista alla paura che ormai mi perseguitava quotidianamente. Sospettavo di qualunque persona entrasse al bar ed ero sempre nervoso. Quando ero in Germania ho sognato a lungo di tornare nella mia città, ma la vicenda di cui sono stato mio malgrado protagonista, si è rivelata un incubo”.