Ilardo, ammazzato da Cosa nostra| "Omicidio deciso dal boss Madonia" - Live Sicilia

Ilardo, ammazzato da Cosa nostra| “Omicidio deciso dal boss Madonia”

La fuga di notizie, l'ordine e il sangue. Le motivazioni della sentenza. Ma i misteri sulla morte dell'infiltrato restano.

Ucciso nel 1996
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CATANIA – Luigi Ilardo è stato ammazzato la sera del 10 maggio 1996 in via Quintino Sella a Catania. La moglie ha sentito i colpi di pistola, la figlia ha visto il sangue sull’asfalto. Il corpo senza vita è stato trovato dagli uomini della Squadra Mobile vicino alla sua Mercedes scura. Ilardo non è stato uno qualunque. Cugino di un boss di livello come Giuseppe Madonia, è stato un uomo d’onore della famiglia di Vallelunga Pratameno, che aveva come capo proprio il parente mafioso. Prima di essere ammazzato era diventato un “infiltrato”. Una fonte, chiamata Oriente, che ha permesso negli anni di far scattare le manette a pericolosi latitanti. Ilardo è stato il confidente del colonnello Michele Riccio. Avrebbe portato il Ros a un passo dal covo di Bernardo Provenzano.

Per anni la sua morte è rimasta un giallo irrisolto. Nel marzo 2017 però è arrivata la sentenza di primo grado. Ergastolo per mandanti e killer. Gli imputati condannati sono nomi di spessore della mafia siciliana, non solo catanese. Si parla del cugino di Ilardo, Giuseppe Madonia, del nipote di Nitto Santapaola, Vincenzo, del boss Maurizio Zuccaro (cognato di Enzo) e di Benedetto Cocimano. Quest’ultimo avrebbe fatto parte del gruppo di fuoco. Gli altri sicari sono stati uccisi nella lunga e sanguinaria guerra di mafia degli anni ’90. Dopo quasi un anno sono state depositate le motivazioni della Corte d’Assise. I difensori stanno già preparando il ricorsi.

L’omicidio di Luigi Ilardo è stato certamente deciso da Giuseppe Madonia e organizzato e portato a compimento da cosa nostra catanese, attraverso Vincenzo Santapaola (figlio di Turi), che ebbe a recepire la decisione e a trasmetterla a Maurizio Zuccaro, quest’ultimo, che ebbe ad organizzarlo, e Benedetto Cocimano che, unitamente ad altri affiliati fra i quali Santo La Causa, ebbe a portare a termine le fasi preparatorie ed esecutive”, Queste le conclusioni messe nero su bianco dai giudici di primo grado. Sullo sfondo del delitto le false accuse nei confronti di Ilardo: come il suo di coinvolgimento nell’omicidio dell’avvocato Serafino Famà o il fatto che si fosse intascato i soldi dell’estorsione alle Acciaierie Megara. Solo dopo l’assassinio è stata scoperta la verità: la condanna a morte è stata emessa perché era un “confidente”.

Ad un certo punto la notizia che Luigi Ilardo fosse un traditore, “un informatore”, si sarebbe diffusa nell’ambiente criminale. Anzi sarebbe arrivata fino all’orecchio del padrino Bernardo Provenzano, che come racconta Nino Giuffrè aveva deciso “la sua uccisione, chiedendo a lui di occuparsene”. Un progetto autonomo (secondo i giudici catanesi) che poi non sarebbe stato messo in atto, perché nel frattempo sarebbe stato eseguito l’ordine partito dal carcere di Giuseppe Madonia. Il boss di Caltanissetta “chiedeva l’eliminazione di Ilardo, che era stato nel frattempo isolato all’interno della compagine criminale”. Un’analisi sancita dalle parole del boss catanese, oggi pentito, Natale Di Raimondo, e da quelle del pentito palermitano Ciro Vara. L’ordine è arrivato a Vincenzo Santapaola, che nonostante fosse detenuto sarebbe rimasto il capo del suo gruppo (anche grazie al legame di parentela con Maurizio Zuccaro). Il nipote di Nitto ha trasmesso il messaggio proprio al cognato. Che poi lo ha eseguito. Alla fine Zuccaro ha anche estromesso Santo La Causa, che invece ha partecipato alle fasi organizzative (Eugenio Sturiale, testimone oculare, racconta di averlo incontrato prima dell’omicidio nella zona di via Quintino Sella, dove abitavano lui e Ilardo). Maurizio Zuccaro forse con questo delitto voleva accelerare la sua scalata criminale all’interno della cosca. A dispetto del gruppo di Monte Po, all’epoca retto da Aurelio Quattroluni. Il boss, detto il Postino, è un’ombra sempre presente nel processo. Addirittura il giorno dell’omicidio, una persona – che si è presentata come il postino – ha suonato due volte al citofono di casa Ilardo. È la vedova a raccontarlo alla Corte.

Ilardo è ucciso pochi giorni dopo l’incontro romano in cui ha dichiarato la sua intenzione di collaborare con la magistratura. Doveva ripartire per formalizzare tutto. Ma non c’è stato tempo. Che ci sia stata una soffiata? Nelle 139 pagine delle motivazioni è ripercorso un processo lunghissimo che ha toccato temi delicatissimi come i sospetti, mai provati, di rapporti tra Cosa nostra e i sistemi deviati dello Stato. Perché se con precisione – e attraverso indagini e racconti di diversi collaboratori di giustizia – la Corte d’Assise è riuscita a delineare il percorso cronologico e anche il movente che ha portato all’omicidio del boss, non ci sono prove idonee a “certificare” che ci sia stata una fuga di notizie. “Quanto all’accelerazione del progetto omicidiiario, desumibile dalle parole di Giovanni Brusca (super pentito di Cosa nostra), di Santo La Causa e di Nino Giuffrè, la sequenza cronologica dei fatti è senza dubbio idonea a far ipotizzare una fuga di notizie da vertici istituzionali. Non è stato infatti accertato chi mise il Provenzano e il Madonia al corrente del tradimento di Ilardo. Non è facile immaginare che la scansione temporale dei fatti sia ascrivibile a semplice causalità”. Ma i giudici non possono dare credito né alle dichiarazioni di Giuffrè rese solo nel 2014 di una fuga da ambienti giudiziari nisseni, né ai sospetti di un possibile tradimento da parte dei vertici del Ros. Misteri irrisolti. Ancora.


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