In scena "Alla meta" | di Thomas Bernhard - Live Sicilia

In scena “Alla meta” | di Thomas Bernhard

Dall’1 al 10 marzo è in programma "Alla meta", tratta dalla omonima opera del grande drammaturgo austriaco, nell’unica traduzione italiana di Eugenio Bernardi.

Alla Meta -da sx Micaela Esdra, Rita Abela

Alla Meta -da sx Micaela Esdra, Rita Abela

CATANIA. Il mese di marzo 2013 si apre nel segno della qualità e quantità per il Teatro Stabile di Catania. Dall’1 al 10 marzo è in programma Alla meta tratta dalla omonima opera del grande drammaturgo austriaco Thomas Bernhard (1931-1989), nell’unica traduzione italiana di Eugenio Bernardi. Notevole il cast: la regia è di Walter Pagliaro, le scene sono firmate da Sebastiana Di Gesu, la colonna sonora, eseguita dal vivo da Ilario Greco, è formata da musiche di Mozart, Beethoven, Ravel; produzione dell’Associazione culturale Gianni Santuccio – Roma. Protagonista dell’inquietante commedia una bravissima Micaela Esdra quale oppressiva madre; a completare il cast degli attori, Rita Abela e Giovanni Scacchetti nel ruolo rispettivamente della “Figlia” e dello “Scrittore di teatro”.

La prima scena si svolge in una stanza semi-circolare “foderata” da finestre coperte da tende chiare, ulteriormente cinte da tendoni di velluto rosso aperti a sipario “francese”: una scena che catapulta lo spettatore in un’arena del circo. La madre sta seduta su una elegante e vecchia poltrona, ben vestita, a sorseggiare rosolio. La figlia, invece, riempie di interminabili abiti ed eleganti vestiti bauli e valigie che si trovano al centro della stanza, rituali preparativi per il viaggio alla casa al mare. Fin dalle prime battute è subito chiaro il rapporto di madre-padrona/figlia-serva che lega i due personaggi, il tutto in un “ambiguo rapporto”: “la madre si comporta con la figlia come un dispotico domatore – evidenzia il regista Walter Paglairo -: l’obbliga a servirla, a mettere e togliere nei bauli una quantità inverosimile di vestiti, la fa inginocchiare ai suoi piedi come fa appunto il domatore con un animale, o un tiranno con il proprio suddito”, le concede le “scolature” del rosolio….

Una famiglia strana, questa, anormale: la madre discende da un’antica famiglia circense, che ha sposato un ricco industriale, dal quale ha avuto due figli: Richard, morto in tenera età, nato come un fenomeno da baraccone circense col volto senile; l’altra, un donnone, ritardato se non altro dall’oppressiva presenza della madre, famiglia “singolare – continua il regista – situazione tipica di molte dinastie circensi, in cui l’irregolarità, fors’anche la mostruosità, diventano naturalmente qualità spettacolari”. Un rapporto strano, in cui le poche e concise parole della figlia, sono sommerse dalla instancabile parlantina della madre: una logorroica irrefrenabile nella quale tutti i suoi discorsi sono incentrati nella perpetuazione della sottomissione della figlia, perseguita attraverso la demolizione psicologica della silenziosa e balbuziente ragazza e soprattutto di ogni sua idea emancipativa.

Tuttavia, quello in scena è un giorno particolare, un dì di partenza e di novità. La partenza è il solito rito verso la casa di villeggiatura a Katwijk, importante cittadina nella costa sud-ovest dell’Olanda; la novità è la strana presenza di un giovane scrittore di teatro, conosciuto qualche sera prima dopo una sua applaudita opera e invitato dalla madre alla villeggiatura. Una novità dirompente nella quadretto familiare, i cui dialoghi si arricchiscono delle pessimistiche e rassegnate idee sociali dello scrittore: “La società non può essere cambiata, nessuno scrittore l’ha mai cambiata. Tutti gli scrittori hanno fallito, e il pensiero di fallire è essenziale”, dice alla dispotica madre lo scrittore giunto con una smilza e piccola valigia, “l’importante è il tentativo, ma dobbiamo renderci conto che falliremo”. Un clima “anormale”, che continua anche nella casa di villeggiatura al mare, immaginata nella presente produzione come un emiciclo, un “circo-mondo” lo definisce il regista, come la scena e soprattutto gli interminabili dialoghi, incentrati su una parafrasi della gioventù “che s’annoia”, una generazione che “nasce e già pensa alla pensione”.

È in questi ultimi dialoghi che il prolifico drammaturgo austriaco inserisce le sue “osservazioni” sulle nuove generazioni, delle lezioni sociali, introducendo nelle sue opere il media dei lunghi monologhi sulla situazione del mondo e sulla “stupidità” dei suoi abitanti: del resto “Alla meta” venne rappresentato per la prima volta al Salzburger Festspiel nel 1981, da un cinquantenne Bernhard, giunto al tramonto della sua vita (morirà otto anni dopo). Il “giovane vecchio” descrive la gioventù degli anni ’80 “annoiata”, addormentata, passiva, perdente e fiacca dopo le rivolte dei decenni precedenti. Una generazione che “vede il marciume e non fa nulla. E intanto marciscono anche loro”.

“I giovani – ripete incessamente il giovane scrittore – devono fare a pezzi la vecchia storia, ma questi marciscono”. Un ritratto quanto mai attuale, oculatamente scelto dal Teatro Stabile di Catania in un momento in cui il “marciume” s’è allargato, e in cui la sottomissione ad un’incapace classe dirigente, specchio dei sonnolenti abitanti del Paese del Sole, rende chiari tutti i danni e il lento appassimento sociale e morale. Bravissimi gli attori, al quale il tutto-pieno teatro Musco ha tributato onori e calorosi applausi.


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