Maccarrone, freddato sotto casa |A guidare lo scooter era "u pupiddu" - Live Sicilia

Maccarrone, freddato sotto casa |A guidare lo scooter era “u pupiddu”

A inchiodare Di Maria, un colloquio intercettato in carcere, tra Merlo, il presunto killer, e il fratello.

il delitto di adrano
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DI MARIA Massimo

CATANIA – Mancava all’appello l’uomo, con il volto travisato, che conduceva lo scooter che portava a bordo il killer che ha crivellato di colpi Maurizio Maccherone ad Adrano il 14 novembre 2014.  A inchiodarlo sarebbe stata, ancora una volta, un’intercettazione che ha per protagonista Massimo Merlo (che a quanto pare ha il vizio di parlare troppo) mentre conversava con il fratello durante un colloquio in carcere.  A finire in manette è Massimo Di Maria, 39 anni, conosciuto come “u pupiddu” e accusato in concorso con Antonio Magro e Massimo Merlo (arrestati un mese e mezzo fa) di omicidio aggravato.

 

La Squadra Mobile e i poliziotti del Commissariato di Adrano già dopo la visione delle immagini di video sorveglianza, che mostrano in modo agghiacciante le fasi del delitto, avevano indirizzato i sospetti verso Di Maria, per la stazza e per l’incapacità anche di “governare” lo scooter soprattuto dopo che Merlo, freddamente, colpisce Maccherone, semplice impiegato di una struttura sanitaria di Biancavilla, alla testa. La polizia trovarono nella scena del crimine 5 bossoli calibro 7,65. Gli elementi di riscontro erano insufficienti per chiedere una misura cautelare, ma le intercettazioni in carcere e anche le rivelazioni del collaboratore di giustizia Gaetano Di Marco hanno portato a completare il compendio probatorio a carico di Di Maria.

Ma andiamo per ordine nello sviluppo dell’inchiesta. Gli investigatori ricercano immediatamente il movente dell’omicidio di Maccarrone nella sfera personale della vittima. Ma nonostante questo le modalità dell’esecuzione portano a cercare gli autori del delitto tra i personaggi della criminalità organizzata locale. A dare un riscontro fondamentale ai sospetti degli inquirenti sono le dichiarazioni dei collaboratore di giustizia, ex esponente degli Scalisi, che racconta che l’omicidio, seppur passionale, era stato organizzato da appartenenti ai gruppi mafiosi operanti tra Paternò, Adrano e Biancavilla e riconducibili ai “Mussi ‘i Ficurinia”. E non solo ha indicato come mandante Magro, mentre componenti del gruppo di fuoco Merlo e Di Maria. Il primo e il terzo paternesi del gruppo Morabito – Rapisarda e il secondo agli Scalisi di Adrano, famiglie referenti sul territorio dei Laudani di Catania. Magro sarebbe stato geloso della relazione (forse presunta) tra Maccarrone e una sua vecchia fiamma. E’ lo stesso killer Merlo a incastrarsi con le sue mani. Mentre parlava del delitto con una persona si vantava di quanto era stato spietato. “…Ci i’ d’arreri …n’aricchi accussì… PUM – imitando un colpo d’arma da fuoco – ….e gridava…gridava … ittava vuoi”.  Merlo, ancora intercettato, fornisce un dettaglio su quanto Di Maria fosse maldestro. “…Ma se quello non ci sale nel motorino da quando aveva undici anni… non ce la fa neanche a portarlo… ”.

Le indagini anche dopo gli arresti di Merlo e Magro non si sono fermate, ad un certo punto il presunto killer in carcere invitava il fratello (secondo gli investigatori) a dire a Di Maria che era merito suo se non era finito in gattabuia anche lui. “…Gli devi dire mio fratello a te ti ha sempre discolpato. Perché anche l’intercettazione che lui ha avuto, che lui dice chi è. Lui ti discolpa, ecco perché non ti hanno fatto il mandato di cattura a te(….) Quindi tu gli devi dire che al 99% tu ta scagghiasti (fonetico), grazie a mio fratello!”. Merlo per il “suo silenzio” avrebbe preteso delle somme di denaro in modo da poter fare “la galera in pace”. Le intercettazioni, i riscontri, le rivelazioni del pentito, oltre al fatto oggettivo dei contatti telefonici tra Merlo e Di Maria il giorno dell’omicidio emersi dagli accertamenti, hanno permesso di dare un nome e un cognome al terzo responsabile dell’assassinio di Maurizio Maccarrone.

 


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