PALERMO – Archiviata l’inchiesta sulla fiction Agrodolce. Spazzate via le ipotesi di estorsione, frode nelle pubbliche forniture e falso. Sotto accusa erano finiti l’ex direttore di Rai Educational Giovanni Minoli, il produttore esecutivo della soap opera Gianfranco Miti, la consulente Maria Rennè Cammarata e Vincenzo Vanni Calvello Mantegna.
Il giudice per le indagini preliminari Wilma Mazzara, accogliendo la richiesta del pubblico ministero Enrico Bologna, ha chiuso il caso di quella che avrebbe dovuto essere una produzione di successo per la Rai e uno spot per l’immagine della Regione siciliana che la finanziò. Non si andò oltre la prima serie. Fu un fallimento che, secondo il presidente della società di produzione Luca Josi, era dovuto a una serie di illeciti. Fu Josi a presentare due querele a Roma e Palermo, con tanto di file audio. Ad un certo punto, infatti, il patron della casa di produzione Einstein iniziò a registrare le conversazioni con Minoli. Intercettazioni private che sono state pubblicate sul Fatto quotidiano.
“Non è provato che l’operato sia stato caratterizzato dal dolo richiesto dovendosi ritenere, piuttosto, – si legge nel provvedimento di archiviazione – che i medesimi (Minoli e Miti, ndr) abbiano agito nell’interesse dell’attuazione del progetto e siano stati avulsi da qualsiasi finalità di illecita appropriazione dei fondi pubblici”.
Tra le vicende denunciate da Josi c’erano le presunte pressioni di Minoli per piazzare Miti – che in realtà era un dirigente di Rai Fiction specializzato nella lunga serialità, come quella di Un posto al sole – e Cammarata. Il primo come produttore esecutivo della fiction e la seconda con l’assunzione alle dipendenze di una società collegata alla Einstein. Un vantaggio l’avrebbe ottenuto, secondo le accuse di Josi, anche Vincenzo Calvello, esponente di una delle più antiche e influenti famiglie della nobiltà siciliana, il cui capostipite era stato condannato nel secondo maxi processo a Cosa nostra. Un passato che aveva fatto storcere il naso ai componenti della Commissione parlamentare antimafia sull’opportunità di affittare il castello di Trabia, di proprietà dei Calvello, per girare le scene di Agrodolce. Alla fine anche per questo, oltre che per la non idoneità dei locali, la location venne scartata e a Calvello fu riconosciuta una penale da 100 mila euro.
Le vicende Calvello e Cammarata erano già state oggetto di un’indagine della Procura di Roma, anch’essa archiviata. Pur in presenza di un caso di ne bis in idem – non si può indagare due volte sulle stesse persone per uno stesso reato – il giudice Mazzara sottolinea che si può “escludere la superfluità dell’assunzione e l’imposizione” di Cammarata che aveva il compito di fare da cerniera fra la produzione e il territorio. Così come “nessuna imposizione” ci fu nel caso di Calvello.