CATANIA – Indagini chiuse per il primo capitolo dell’imponente operazione I Vicerè, che a febbraio decapitò la cupola dei Laudani e le squadre operative nei quartieri di Catania e nelle varie città della fascia jonica e nell’hinterland etneo. Un’inchiesta che scatenò un vero e proprio terremoto anche nel mondo forense e della giustizia etnea per l’arresto degli avvocati Giuseppe Arcidiacono e Salvatore Mineo, accusati di concorso esterno. I due, che poi finirono ai domiciliari su disposizione del Riesame, sono tra i 66 nomi inseriti nelle 21 pagine dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari firmato dalle pm Lina Trovato e Antonella Barrera. Inchiesta chiusa per lo zoccolo duro del clan dei “Mussi i Ficurinia”, rappresentato dal patriarca Sebastiano Ianu Laudani (classe ’26) e da alcuni componenti della “famiglia” mafiosa. Tra gli indagati spiccano le due madrine dei Vicerè: Mariella Scuderi, vedova di Santo Laudani e Concetta Scalisi, a capo – secondo la Procura – dei referenti di Adrano. Avviso di conclusione indagine anche per Antonino Rapisarda, referente dei Laudani di Paternò, Carmelo Pavone (l’africano), uomo di vertice dei Mussi I Ficurinia nelle Aci. Oltre 40 le posizioni stralciate: si tratta di molti degli indagati a cui era stato accolto da parte del Tribunale del Riesame, o della Cassazione, il ricorso di annullamento dell’ordinanza di custodia cautelare. Potrebbero arrivare anche richieste di archiviazione. Resta fuori da questo capitolo d’inchiesta Paolo Di Mauro, ‘u Prufissuri, boss di Piedimonte Etneo (scarcerato dal Tribunale della Libertà pochi giorni dopo la retata) e Paola Torrisi, definita la “madrina di Caltagirone (anche lei tornò in liberta con precisa ordinanza del Riesame).
L’ESERCITO DI 66 INDAGATI. Giovanni Alfino, Paolo Aloisio, Filippo Anastasi, Giuseppe Arcidiacono (avvocato), Carmelo Bonaccorso, Giuseppe Borzì, Rosario Campolo, Alberto Gianmarco Angelo Caruso, Andrea Catti, Saverio Cristaldi, Orazio Cucchiara, Giuseppe D’Agata, Sebastiano D’Antona, Vito D’Anzuso, Orazio Di Grazia, Antonino Di Mauro, Orazio Salvatore Di Mauro, Giuseppe Fichera, Antonino Finocchiaro, Sebastiano Flori, Antonino Fosco, Santo Giuseppe Gerbino, Giovanni Giuffrida, Sebastiano Granata, Giuseppe Grasso, Franco Guglielmino, Carmelo Orazio Isaia, Concetto Laudani, Giuseppe Laudani, Santo Orazio Laudani, Sebastiano Laudani (il patriarca, classe ’26), Sebastiano Laudani (classe ’69), Orazio Leonardi, Daniele Mangiagli, Carmelo Maugeri, Orazio Militello, Salvatore Mineo (avvocato), Giovanni Muscolino, Giovanni Antonino Nicolosi, Alfio Nucifora, Antonio Luca Josè Pappalardo, Valerio Parasiliti Rantone, Giuseppe Parenti, Giovanni Parisi, Gianluigi Antonio Partini, Carmelo Pavone, Giovanni Pennisi, Francesco Antonio Pistone, Antonio Carmelo Alessandro Privitera, Alessandro Giuseppe Raimondo, Antonio Rapisarda, Alfio Romeo, Concetta Scalisi, Omar Scaravilli, Orazio Sciuto, Maria Scuderi, Orazio Salvatore Scuto, Salvatore Sorbello, Giuseppe Tomarchio, Maurizio Tomaselli, Michele Torrisi, Sebastiano Torrisi, Antonino Francesco Ventura.
L’INCHIESTA. Già dal nome, “I Vicerè”, si capisce l’imponenza dell’operazione condotta lo scorso febbraio dai carabinieri del Comando provinciale di Catania, con il coordinamento dei pubblici ministeri Giovannella Scaminaci, Pasquale Pacifico, Lina Trovato e Antonella Barrera. Ad essere colpito, quasi azzerato, è il clan Laudani, il secondo della provincia di Catania dopo i Santapaola – Ercolano, il più radicato nei comuni dell’hinterland etneo. Sono oltre 100 le misure cautelari a raggiungere esponenti della cosca, dai vertici alla base, assestando un colpo durissimo al clan. Le accuse contestate variano dall’associazione mafiosa alle estorsioni, dal traffico di droga alla detenzione di armi. L’inchiesta svela anche il ruolo centrale assunto da alcune donne, figure forti, autorevoli e con spiccate doti imprenditoriali. Un clan, “I Mussi i Ficurinia”, da sempre caratterizzato da un grande apparato militare, ma capace anche di penetrare e di inquinare il tessuto economico. L’inchiesta, lunga e complessa, trova linfa e impulso nelle parole del super pentito Pippo Laudani, nipote prediletto del boss Iano e primo collaboratore di giustizia della “famiglia”. Un tradimento che, come rivelano le intercettazioni in carcere, è una ferita al cuore per il vecchio patriarca. Un’amarezza riassunta in una frase: “Ha macchiato il nome”.