Amore, morte e successione | Le confessioni di Leoluca Orlando - Live Sicilia

Amore, morte e successione | Le confessioni di Leoluca Orlando

Una sera a Palazzo delle Aquile. Una lunga conversazione. Ecco il Sinnacollanno nella sua intimità.

L'intervista
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Nel gioco di raccontare Palermo e se stesso, con Leoluca Orlando, non puoi vincere mai. Per un fatto storico: lui c’era già ed era sindaco, quando tu eri un bambino, quando frequentavi la scuola, quando partivi militare. Lui: il marchio internazionale del Sinnacollanno, dallo Zen al Dalai Lama. E per una circostanza narrativa: meglio di Luca, di Leoluca, del Professore, di ‘Luchetto’ – tutti eteronimi del Sinnacollanno originario, quale egli, indubbiamente, nacque – nessuno sa dipingere la città che vorrebbe essere e che non sempre coincide con quella che effettivamente è.

Incontro a Palazzo delle Aquile, mercoledì sera sul tardi, per uscirne tardissimo (le polemiche e i fatti successivi restano, ovviamente, fuori dal colloquio per le incongruità temporali). Commessi un po’ stanchi e affranti per via della capacità di resistenza orlandiana. L’appuntamento era stato preso a voce durante la Via Crucis dell’Ucciardone: ‘La affrontiamo una chiacchierata futuribile sulla bellezza e sulla cultura, soprattutto, con licenza di inserimento di altri argomenti più rasoterra?’. Eccolo il Sinnacollanno nella sua stanza da Sinnacollanno – primo cittadino ormai d’affezione – arredata di reperti e testimonianze. Qualcuno porta una scatola di piccoli sigari. La rappresentazione politica intima e complessiva dell’Orlandismo – tra cose personali, frammenti onirici, elementi concreti e parole – può andare, Signore e Signori, a incominciare.

Professore, che giornata ha avuto?

“Sono stato in vari posti, conferenze di servizio, riunioni, faccio il sindaco. E ho portato un saluto alla Consulta della pace per l’anniversario della morte di Martin Luther King. Palermo, troppo spesso, è una città che vive la dannazione del ricordo senza memoria”.

E la differenza qual è?

“Il ricordo è freddo, scivola sul corpo. La memoria ti interroga, ti interpella in profondità”.

E la cultura, visto che Palermo ne è la capitale, che cos’è?

“La cultura è stare insieme. Una nota da sola non è cultura, uno spartito sì. Palermo si è guadagnata il diritto alla bellezza e comincia a scoprirne la leggerezza. Palermo è la città che culturalmente è cambiata di più negli ultimi quarant’anni. Altre città sono cambiate per via di stravolgimenti che hanno segnato la storia. Palermo è cambiata, senza che cambiasse la nostra Costituzione, perché siamo cambiati noi. E’ il simbolo mondiale dell’accoglienza che riduce ogni contrasto ad armonia. E dobbiamo ringraziare coloro che hanno dato la vita, morendo, o che l’hanno dedicata, restando vivi, per liberare Palermo dalla mafia”.

Tra gli accolti, ricordo, per l’incastro delle libere associazioni, Joseph O’ Dell, era il 1997, se non sbaglio…

“Ne ho memoria anche io”.

Un condannato a morte della Virginia che riposa nel cimitero di Santa Maria di Gesù.Tante persone rimasero colpite dalla vicenda di un uomo che si proclamò innocente fino all’ultimo respiro. Per lei era innocente, Professore?

“Non è questo il punto, io sono contro la pena di morte. Comunque, sì, per me era innocente”.

La storia di Joseph, detto Joe, è anch’essa simbolica?

“Era stato arrestato e condannato all’iniezione letale per la presunta uccisione di una donna. Secondo la legge della Virginia, avrebbe potuto presentare prove a discarico entro sei mesi, poi basta. Dopo qualche anno, Joe fu assistito dall’avvocato Lori Urs, che diventò sua moglie, che fece fare l’esame del dna da cui risultarono chiarissimi elementi di discolpa, ma era passato troppo tempo. Io davo la cittadinanza ai condannati a morte, secondo una lista di Amnesty. Joseph O’ Dell mi scrisse, ci sentimmo per telefono. Quello che disse non mi lasciò indifferente. E fu allora che cambiai io, passando, nella mia consapevolezza, dalla legge ai diritti, dal reato alla pena. Si mise in moto un sentimento di pietà e di giustizia per quest’uomo recluso nella prigione di Richmond. Intervenne il Papa”.

E poi?

“Mi chiese di andarlo a trovare: ‘Sei tu la mia unica speranza’, diceva. Io partii per l’America, pagandomi il viaggio, ma il governatore non volle ricevermi. Joe aveva capito: ‘Sindaco, immagino la mia morte quaranta volte al giorno, sempre diversa, sempre con la stessa conclusione. Adesso non fregarmi, fa’ in modo che io sia seppellito a Palermo, l’unico posto che mi ha dato amore. E prega con me, a distanza, non farmi morire da solo’. Pregai con lui e per lui la notte dell’esecuzione. Un palermitano generoso, Giovanni Mazzola, offrì la sua tomba per il condannato. Joe O’ Dell ha trovato pace sotto il sole di Santa Maria di Gesù. Posso dire che anche questo è il segno di un cambiamento negli anni?”.

Può dirlo. Ma adesso abbandoniamo l’affascinante inquadratura e mettiamoci nei panni di un palermitano che, oggi, ha affrontato il ‘ciaffico’, l’immondizia, i marciapiedi scassati, i disservizi, i disagi dei cantieri e tutto ciò che viene offerto dalle cronache dei quotidiani patimenti. Fingiamo che possa entrare qui e gridare: ‘Sinnacollano, non funziona niente…’.

“Abbiamo dei problemi…”.

Abbiamo tanti problemi: la povertà abbondante, la scarsa mobilità, gli spazi ristretti…

“…Abbiamo dei problemi, lo riconosco, non c’è dubbio. Ma non c’è dubbio che Palermo abbia un sindaco in sintonia con coloro che sono più avanti”.

Ne è sicuro, Professore?

“Sì. Il mio compito è accorciare le distanze tra la mia visione e la città che vive del suo quotidiano, occupandomi, certo, delle faccende quotidiane. Io rispondo a tutte le mail, dormo con l’Ipad sotto il cuscino, sono impegnato al massimo e a tempo pieno, segnalo perfino il materasso abbandonato e il sacchetto fuori posto. Ma il tema di fondo rimane sempre il cambiamento”.

Sembra quasi una formula magica questo cambiamento. Cos’è? Un esorcismo? Un alibi?

“E’ la sostanza, la messa in sicurezza, la prospettiva. Dobbiamo coltivare innovazione e accoglienza, ecco la strada. Sono stato a parlare a Google Camp (la kermesse organizzata dal colosso, periodicamente, ndr) e ho proposto un discorso molto semplice: caro Google, tu sei come il migrante Amhed che viene accolto a Palermo, pure tu, come lui, non riconosci spazi chiusi, né l’identità declinata per mezzo del sangue. Che cos’è l’identità? E’ il sangue di mio padre e di mia madre?”.

Dove vuole arrivare?

“Io non sono siciliano perché ho sangue siciliano nelle vene, lo sono perché ho scelto di esserlo ed è un valore aggiunto di libertà. Pure Amhed e Google scelgono la loro identità. Questo è il mondo che cambia e Palermo ha un posto in prima fila”.

I migranti, tema controverso.

“Ho incontrato una ragazzina congolese di quattordici anni. Piangeva perché non era riuscita a salvare la mamma nel passaggio dal barcone alla nave. Sono scene da Dachau, da Auschwitz, è la nuova Shoah. Vogliamo rendercene conto?”.

Domanda di politica nazionale: lei e l’adesione al Pd. Le ultime elezioni sono state una disfatta. Ne valeva la pena? Se ne è pentito?

“Ma io lo sapevo, sapevo tutto. Ho pronunciato il mio sì nel tentativo di verificare uno strumento utile alla mia visione. No, non me ne sono pentito: è il momento politicamente e culturalmente giusto. In politichese? Il peggiore”.

Si sente amato da Palermo, Professore, oppure sopportato?

“Ricevo amore in maniera morbosa. Io sono figlio, fratello e padre della città. Appaio come uno che racchiude tutte le paure e i difetti di un palermitano, perché comunico, dunque sono umano. Il mio cammino personale coincide con quella di una realtà che si muove, che cambia, lo ripeto ancora. E la cultura rappresenta la famosa messa in sicurezza. Domani non servirà un sindaco come me. Palermo sarà tanto cambiata che potrà scegliere uno che non abbia mai vissuto la mia storia”.

A lei chi piacerebbe?

“Non ho mai indicato un ipotetico successore. Ho un rispetto sacro per la libertà che ho imparato in famiglia. Tanti anni addietro, la mattina, guidavo la protesta e l’occupazione nella facoltà di mio padre e la sera cenavamo insieme”.

Si sarà arrabbiato suo papà…

“Non mi ha mai rivolto mezza parola a riguardo”.

La sua che famiglia era?

“Mamma, un’aristocratica, che sposa un borghese di valore. Otto figli, il più grande, Carmelo che non ho conosciuto, morì di polmonite durante la guerra. Io sono nato dopo due figlie femmine, con la polmonite… E sono qua. Ho una polmonite ogni diciotto-diciannove anni. Soffro di una sindrome per cui capita di morire entro i quarant’anni. Al mio quarantesimo compleanno ho stappato una bottiglia di champagne”.

Quali sono i più monumentali difetti dei palermitani, soppesati da un palermitano?

“La mancanza di autostima che io cerco di compensare, talvolta esagerando, e il mancato rispetto del tempo che porta nell’eterno presente. E quando non rispetti il tempo, non hai né memoria, né speranza. Ogni evento è definitivo. Ogni piccola sconfitta può essere la morte. Ogni piccola vittoria è un trionfo. E poi c’è l’invidia. Ecco, questi difetti, almeno, non li ho. Sono molto felice del successo degli altri”.

Invece, pensi un po’, c’è chi la descrive come un accentratore, un egocentrico, uno che taglia la testa, metaforicamente, per carità, a chi la alza troppo…

“Non è affatto vero. La mia esistenza è piena di persone, ma non ho mai avuto un clan. Ho idiosincrasia per i recinti. Sono nemico della cultura dell’appartenenza e amico della libertà. Me l’hanno insegnato mio padre e mia madre”.

Si mormora pure che le scocci essere il sindaco perenne, che avrebbe aspirato a onori più vistosi, magari una poltrona ministeriale, se non Palazzo Chigi; che si senta ridimensionato.

“Io ho fatto e faccio il sindaco per aiutare la mia città a cambiare. Molti eventi mi hanno condizionato, uno su tutti: l’omicidio di Piersanti Mattarella. Intorno al suo corpo ci ritrovammo con suo fratello Sergio e con Pietro Grasso, non devo spiegare chi sono loro. Ho assunto un impegno morale definitivo quel giorno, il 6 gennaio del 1980”.

Palermo, Capitale della cultura – torniamo all’incipit – che può significare?

“Rafforzare le eccellenze che ci sono, farne emergere di nuove e mandare in soffitta le finte eccellenze che hanno campato di isolamento e di grettezza politica. Anche questo è mettere in sicurezza la città. Ovviamente, registro il nervosismo di tante eccellenze finte che hanno capito che la loro epoca è finita”.

Pausa. La prima e l’ultima dopo l’apertura del sipario di una lunga, densa e scapigliata conversazione. Entra una signora con delle carte da firmare. C’è l’occasione di un’altra boccata dal sigaretto. Fuori dalla finestra di Palazzo delle Aquile, Palermo appare bellissima, sotto le stelle di piazza Pretoria. Un miraggio dell’Orlandismo?

In sintesi, Professore, che bilancio presenta a se stesso?

“A chi è dato molto, molto viene chiesto. Certamente, mi è stato dato molto dai palermitani e mi viene chiesto di non essere condizionato dai loro umori negativi”.

Abbiamo parlato dell’esecuzione di Joe O’ Dell, di suo fratello, del migrante Amhed che si è salvato, mentre altri ne muoiono. Lei che l’ha vista più volte in faccia, che rapporto ha con la morte?

“Ho paura del dolore non della morte. Quando verrà il momento, sarò felice e ringrazierò Dio”.

Per cosa lo ringrazierà?

“Per la vita che mi ha fatto vivere”.

 


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