Giuseppe Marfia non è l’ultimo arrivato. Lo dimostrano le sue trascorse amicizie. Eppure, anche lui, ha commesso l’ingenuità di parlare troppo al telefono. L’11 gennaio 2007, diciannove minuti dopo le 15, all’uomo dall’altra parte della cornetta spiega, senza alcuna cautela, quali sono i suoi interessi economici. Agli investigatori basta trascrivere il contenuto dell’intercettazione. Una sola conversazione per capire chi è veramente Marfia che racconta di essersi appoggiato ad altre persone “… no, io per ora vedi, io combatto qua, ho fatto costruzioni, cammurrie, palazzine, villette, ville, “villiceddi”, sai mi do da fare e loro mi hanno attaccato i cannarozzi, perché gli sbirri non vogliono che io faccia nulla, meschino devo giocare sopra altri cristiani, capisci che… e allora minchia sono un condannato, devo stare in fiducia agli altri, però, minchia, faccio il normale, minchia, ho laureato due figli, me ne fotto di tutte cose …”.
Marfia risulta nullafacente eppure dice di fare “il palazzinaro, di continuare a costruire palazzi, immobili, come del resto ha sempre fatto nella sua vita, combattendo sempre nell’edilizia”. Grazie a questa sua attività, spiega “di essersi fatto i miliardi”, contrariamente ad altre persone – suoi complici del passato – che “si sono fottuti pari pari”. Marfia spiega anche lo stratagemma che gli ha consentito di rifarsi una verginità. Si è fatto assumere dall’impresa di Raccuglia: “… che io mi sono messo in regola, in una persona che lavorava diciamo, mi faceva lavorare e mi feci mettere in regola, dissi ai fini pensionistici, prendo qualche mille lire di pensione no? .. minchia, sai che cosa fecero? Ci hanno mandato una lettera a quello, dicendo …ehh… dicendo che lui era prestanome mio e mi doveva licenziare!. A mia mi hanno mandato una lettera che ero un mafioso e ricattavo le persone…, cioè eh … che le persone erano succube di me e quello ma … mi ha licenziato, gli abbiamo fatto la causa, senti ddocu, ci ficimo la causa perché (ndr. riferendosi a terza persona) gli ha voluto fare la causa” .
Poi, prosegue con l’elogio di se stesso, uomo capace di starsene in disparte, ad aspettare il momento buono per il ritorno: “… no, gli altri hannu muruto di pititto, no gli altri hanno, minchia c’è pitittu, pitittu, vuoi detta la verità, pitittu…, io anzi minchia, mi do da fare perché bene o male, ho laureato due figli, bene o male, cioè io tutto benedico…. Ma io perché ho fatto sempre il passo corto, capisci? perché… sarei stato in mezzo la strada… Minchia si vede lontano un miglio che quello com’è, ieri aveva quella specie di machinicchia… ora… macchinoni… Quindi ricostruisce le sue attuali attività imprenditoriali nel settore dell’edilizia, in particolare i lavori ad Altofonte, Ficarazzi e Palermo: … fuori l’al… l’atra volta ho finito, a Ficarazzi ho finito… i palazzi, i 29 appartamenti e, qua a Villagrazia ne ho finito un altro tempo fa, mentre avevo le misure di prevenzione e manco ci potevo andare, te lo immagini maniata di cornuti, nemmeno potevo travagliare. E qua ora sto facendo delle paia di villette a schiera, Altofonte, e, insomma, sono quasi finiti i calcestruzzi, ora dovremmo attaccare con… cose, insomma, i soliti discorsi”.
L’elogio prosegue. Marfia parla di se stesso in terza persona: “… ha avuto sempre il vizio di metterne cinque da un lato e cinque da un altro lato… se Dio gli avesse gettato tutti da un lato, sarebbe a pane ed acqua”. Secondo i pubblici ministeri Antonio Ingroia, Francesco Delbene, Roberta Buzzolani e Carlo Lenzi, il riferimento è chiaro: Marfia avrebbe “distribuito” i propri proventi in vari punti, intestandoli certamente a prestanomi che gli hanno evitato l’eventuale sequestro. Che oggi è arrivato puntuale.