Io li ho visti - Live Sicilia

Io li ho visti

La storia di un palermitano, un osservatore, la cui vita, a sua insaputa, si è incrociata con quella di uomini che, in un modo o nell'altro, hanno fatto parte della storia recente di Palermo e non solo.

Forse basta aver vissuto a Palermo, in un certo periodo. E verrebbe da pensare che Palermo sia una città particolare davvero, se con un piccolo sforzo di memoria riesco a fare una lista di tante persone nelle quali mi sono imbattuto, e che sarebbero passate alla storia e alle cronache, ma in situazioni innocenti, quotidiane, non volute.

Di costoro posso dire: “Io li ho visti”. E con occhi che lasciano lampi indelebili nella memoria. Quelli di un bambino, prima, e di un ragazzino “né carne né pesce” in seguito.

Io ho visto Bruno Contrada. Mio padre era un poliziotto della Mobile e un giorno capitammo nel suo ufficio non so per quale motivo. Di sicuro per una ragione che a un bambino come me non riguardava né interessava. Lo ricordo alto e robusto, con una bella giacca quadrettata, a fibre grosse, i capelli sale e pepe, le movenze dinamiche e la battuta a portata di lingua. Odorava di sigaretta. Disse a mio papà, in napoletano: “Cacciato’, a me me frigge ‘o cerevello”. E mi bastò per conservare nella memoria un personaggio.

Io ho visto Boris Giuliano. Mio padre gli sfiorò una mano, un giorno, nei pressi della questura. Lo vidi rispondere distrattamente al saluto del suo sottoposto, e andarsene in un’auto che spariva veloce, guidata da un altro poliziotto. Poco dopo avrei scovato una sua foto sul giornale. Lo avevano ucciso, platealmente, e per qualche notte rimasi sveglio, con la paura che potesse accadere anche al poliziotto che chiamavo papà.

Ho visto padre Pino Puglisi. Ero più grande e frequentavo il liceo Vittorio Emanuele II (dove tra l’altro, avevo incontrato, senza saperlo, almeno tre futuri colleghi giornalisti della carta stampata e del video) e per noi “padre tre P” era un pretesto per buttare un’ora di scuola in caciara, come si fa con tutte le ore di religione. Un giorno padre Pino mi mise una mano sulla spalla – erano gli anni ottanta, si manteneva ancora un religioso distacco tra insegnanti e alunni – e quell’atto mi colpì. Lo giudicai sovversivo, in senso piacevole. Così seppi – e ne mantenni certezza – che padre Puglisi era speciale.

Ho visto Lucia Borsellino. Eravamo in classi diverse dello stesso liceo, ma il suo aspetto esile, malinconico, mi ricordava qualcuno che era noto. A quei tempi non sapevo nemmeno che cosa fosse un magistrato. Più tardi lo avrei scoperto in un modo che avrei voluto diverso.

Nessuna di queste persone si ricorda di me. Ma io di loro, sì. Ed è giusto che sia così. Chi scrive è un osservatore, armato solo di tastiera e di memoria. E per uno come me, Palermo è felicemente, tristemente irripetibile.

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