E’ stata approvata dal plenum del Csm, anche con i voti di “peso” del vicepresidente Michele Vietti, e dei vertici della Cassazione, la delibera che “bacchetta” il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia per il suo intervento di tre mesi fa al congresso del Pdci, nel quale disse tra l’altro di non poter essere imparziale nei confronti di forze che, cercano “quotidianamente” di introdurre “privilegi e immunità” a vantaggio di pochi, in spregio al principio di uguaglianza, e di sentirsi “partigiano” della Costituzione. In tutto i voti a favore sono stati 16, contro i sei andati alla relazione di minoranza.
Il testo approvato, messo a punto dai laici Nicolò Zanon e Guido Calvi, definisce ”particolarmente vistosa e inopportuna” la presa di posizione del pm antimafia non solo per gli ”accenti di forte polemica” usati nei confronti di programmi e leggi di forze politiche ”facilmente riconoscibili”, ma anche perché il tutto è avvenuto al congresso ufficiale di un partito. E pur chiedendo l’archiviazione del fascicolo -in quanto trattandosi di un ”isolato episodio di esternazione”, non ci sarebbero gli estremi per l’applicazione di una procedura di trasferimento d’ufficio per incompatibilità- dispone la trasmissione degli atti alla Quarta Commissione, quella che si occupa delle valutazioni sulla professionalità dei magistrati. Una decisione che potrebbe avere eventuali conseguenze negative sulla carriera del pm o pesare se il magistrato dovesse concorrere per incarichi direttivi.
Il documento, che tira le orecchie al magistrato, cita tra l’altro i ripetuti richiami del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ai magistrati a osservare ”misura e riservatezza”, e a ”non sentirsi investiti di improprie e esorbitanti missioni”, a ”non indulgere in atteggiamenti protagonistici”; ma fa riferimento anche al codice etico dell’Anm che chiede alle toghe, ferma restando la piena libertà di esprimersi, di ispirarsi a criteri di equilibrio. I contenuti dell’intervento di Ingroia ”non possono in alcuno modo aver comportato alcuna lesione ai valori dell’indipendenza e dell’imparzialità solo perché espressi nel corso di un congresso di partito”, sosteneva invece la relazione di minoranza, firmata dal togato Paolo Carfì, che chiedeva invece di chiudere il caso senza ulteriori strascichi. La vicenda ha diviso un po’ tutti i gruppi, a cominciare da quelli di sinistra: il laico del Pd Glauco Giostra ha votato la relazione di minoranza con tutti i togati di sinistra (ma dal gruppo si è dissociato Nello Nappi che ha votato il documento di maggioranza). E si sono astenuti, in difformità dai loro gruppi che hanno votato la delibera approvata dal plenum, i togati Paolo Auriemma (Unicost) e Antonio Racenelli (Magistratura Indipendente).
La replica di Ingroia
La dichiarazione di Antonio Ingroia: “Prendo atto che la decisione del Csm è stata adottata a maggioranza. Prendo atto con amarezza, che la maggior parte dei consiglieri, compreso il vicepresidente, hanno espresso apprezzamenti negativi perché un magistrato si è reso colpevole di avere dichiarato la propria fedeltà alla Costituzione”.
“Per quel che mi riguarda ho la coscienza a posto e rivendico il diritto di esprimere la mia fedeltà alla Costituzione in qualsiasi sede. Auspico d’altra parte – aggiunge Ingroia – che da oggi in poi il Consiglio sia altrettanto solerte nei confronti dei magistrati che non solo non dichiarano la propria fedeltà alla Costituzione, ma neanche la praticano dimostrando ben altre ‘partigianerie'”.