PALERMO – “Padre Pino Puglisi è stato lasciato da solo, per questo l’hanno ammazzato. La sua beatificazione può rappresentare la rinascita per questo quartiere, che ha ancora tanto da imparare”. A Brancaccio, nel giorno in cui il parroco ucciso dalla mafia è stato proclamato beato, c’è chi è dovuto rimanere a casa o nella propria attività commerciale per lavorare e non ha avuto la possibilità di partecipare alla cerimonia organizzata al Foro Italico. C’è chi guarda la diretta in tv ed emozionato ricorda come se fosse ieri le parole del sacerdote che ha portato l’aria del cambiamento in uno dei quartieri più critici di Palermo. C’è chi ricorda con commozione il suo sorriso, il suo impegno coi bambini.
“Perché è proprio da loro che le coscienze cominciano a smuoversi”, dice un residente, un uomo che ribadisce con forza quanto sia necessaria l’unione per combattere la criminalità, l’illegalità che mette le proprie radici nella mentalità. “Abito qui da molti anni – dice – e il cambiamento che tanto desiderava Padre Pino Puglisi non è ancora avvenuto. Il lavoro di una sola persona non può raggiungere obiettivi così importanti. Gli idealisti, se lasciati ai margini, non possono combattere guerre più grandi di loro, per le quali non vengono nemmeno forniti i mezzi”.
E così, mentre quasi ottantamila persone provenienti da ogni parte del mondo, hanno ascoltato con estrema partecipazione la proclamazione della beatificazione, gran parte di coloro che abitano a Brancaccio, lontano dal luogo della cerimonia, ha vissuto ugualmente nella riflessione e nella gioia quelle ore. Compresa la famiglia Zaccaria, che vive nella casa che un tempo fu del parroco. In piazzale Antita Garibaldi si respira ancora il dolore per quell’agguato avvenuto il 15 settembre di vent’anni fa.
Era una giornata come tante per il sacerdote, terminata sullo spiazzo antistante il portone di quelle palazzine in queste ore addobbate a festa. Lì c’è anche la nuova statua a lui dedicata, un palco per festeggiare la sua beatificazione, ma, nel frattempo, c’è chi ricorda la sua umiltà, la sua generosità, la disponibilità ad un sorriso e ad una parola di conforto per tutti.
Chi vive adesso in quell’abitazione di tre vani dice di sentirsi fortunato: “E’ una casa benedetta – dice Vincenza Tinaglia, moglie di Giuseppe Zaccaria, assegnatario dell’appartamento -. Siamo venuti ad abitare qui due anni dopo la morte di Don Pino Puglisi e ogni giorno trascorso in questa casa è stato felice. Tre nostri figli si sono sposati qui, le stanze all’inizio non bastavano, ma adesso è il nostro paradiso”. “Mia moglie non vuole mai allontanarsi mai – dice Zaccaria – questo appartamentino, nonostante sia piccolo e modesto rappresenta la nostra serenità ed è un orgoglio viverci. Oggi ne siamo fieri più che mai”.