La casa da ristrutturare al boss - Live Sicilia

La casa da ristrutturare al boss

Emergono nuovi particolari dell'inchiesta che ha portato all'arresto di tre esponenti del clan Mazzei per estorsione. Tra questi Carmelo Occhione, che secondo gli investigatori è uno dei responsabili operativi della mafia militare catanese.

Carmelo Occhione

CATANIA – Il lavoro di ristrutturazione a casa di Carmelo Occhione lo doveva fare gratis. Una pretesa accompagnata da minacce e violenza ai danni di un imprenditore edile belpassese che non voleva prestarsi alla volontà di tre appartenenti alla mafia. La ricostruzione è quella che emerge dalle indagini dei carabinieri di Paternò che hanno raccolto la denuncia della vittima stanco dei soprusi che doveva patire. L’inchiesta coordinata dal pm della Dda Andrea Bonomo appena qualche giorno fa è culminata con un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Occhione, già in carcere, e di Carmelo Grasso e Giovanni Tomaselli.

I carabinieri avviano un’attenta attività di monitoraggio e pedinamento: seguono in diretta ogni movimento dell’imprenditore che riceve (si fa per dire) le sollecitazioni per terminare i lavori a casa di uno dei responsabili operativi del clan Mazzei (almeno fino a marzo 2015 secondo l’inchiesta Buona Famiglia della Finanza). Occhione organizzava le squadre di “picciotti” a San Cristoforo: un ruolo di rilievo della mafia militare e non in quella “infiltrata” nelle attività finanziare e commerciali. Una posizione confermata anche dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia santapaoliani: Davide Seminara, ex del gruppo dei Nizza e Filippo Musumarra, ex appartenente dei Murabito Rapisarda Paternò e reo confesso dell’omicidio di Salvatore Leanza.

Dicevamo che i carabinieri alzano le antenne dopo la denuncia dell’imprenditore. Filmano anche la consegna del denaro agli estortori: quel denaro è stato sequestrato, ma per strategia investigativa non avviene nessun arresto in flagranza. Si procede, infatti, per ordinanza di custodia cautelare: il pm ha infatti disposto una serie di accertamenti e indagini a “riscontro” delle dichiarazioni della vittima e delle attività svolte. Oltre alle intimidazioni il costruttore è stato costretto a pagare anche il “cavallo di ritorno” per la restituzione dell’auto che era stata rubata come “garanzia” per assicurarsi la ristrutturazione della casa (ubicata in un quartiere popolare di Catania) del boss.

 


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