La lite scoppiata in carcere e la condanna a morte - Live Sicilia

La lite scoppiata in carcere e la condanna a morte

La requisitoria del processo Thor: il racconto giudiziario dell'omicidio di Giovanni Tomaselli del 1995

CATANIA – Giovanni Tomaselli è stato crivellato di colpi in via Galermo il 24 maggio 1995. Non è morto subito. È anche arrivata l’ambulanza, ma la corsa al Pronto Soccorso del Garibaldi è stata inutile. Sulla scena del crimine i poliziotti hanno rinvenuto bossoli calibro 9 e calibro 3,80. Sono otto le pallottole che hanno ferito Tomaselli, quasi tutte a distanza. Tranne quella alla guancia, che per gli inquirenti sarebbe stato “il colpo di grazia”. 

Giovanni Tomaselli, detto “culu bonu”, era cugino di Agatino Litrico, collaboratore di giustizia, simpatizzante del clan Cappello. Francesco Squillaci ha raccontato che la vittima “era sfuggita già a un agguato organizzato dal suo gruppo”. Dietro una richiesta di estorsione non andata a buon fine. Il commerciante invece di “cercare l’amico buono” tra i Santapaola era andato dai Cappello. Infatti quando c’era stato il sollecito, l’esercente aveva passato al telefono a Squillaci un soggetto che “faceva parte del clan Cappello e aveva detto che bisognava lasciare in pace la vittima”. Per una serie di circostanze il piano di sangue era fallito e nel frattempo Tomaselli si era “avvicinato a Ferdinando Maccarrone, perché aveva avuto una figlia con la sorella del collaboratore”. I due avrebbero cominciato a “camminare insieme (tipico modo di dire mafioso, ndr)” facendo riferimento ad Aurelio Quattroluni. 

Ma c’è stato di più, Tomaselli avrebbe avuto una lite in carcere con Giuseppe Cocuzza, fratello di Nunzio. E quest’ultimo avrebbe detto a Squillaci che “bisognava eliminarlo”. Natale Di Raimondo sarebbe stato d’accordo e avrebbe mandato a dire a “Quattroluni di uccidere Tomaselli”. In quel momento il responsabile a piede libero era lui. 

“L’omicidio è stato commesso – ha detto Liguori nella requisitoria del processo Thor – da Pippo Cocuzza insieme a Cesare Patti. A sparare è stato Cocuzza che voleva vendicarsi dell’aggressione che aveva subito”. 

Anche Ferdinando Maccarrone nel 1999 ha indicato come killer Giuseppe Cocuzza e Cesare Patti. Sentito nel 2019 Maccarrone ha spiegato di aver parlato di questo omicidio proprio con Lello Quattroluni perché aveva paura per lui visto il rapporto con Tomaselli. Ma il boss lo avrebbe rassicurato. 

Quando Cocuzza e Patti sono stati ammessi al giudizio abbreviato hanno depositato delle memorie difensive “ammettendo le proprie responsabilità”. 

Patti ha detto di non conoscere il movente, ma di aver eseguito solo gli ordini di Francesco Squillaci. “Lui aveva guidato un vespone con il quale avevano individuato la vittima in macchina nel quartiere San Giovanni Galermo, a quel punto l’avevano affiancato e Cocuzza era sceso e aveva espulso numerosi colpi e poi aveva buttato l’arma in un cassonetto dei rifiuti”. 

Giuseppe Cocuzza è stato più particolareggiato. “Entrambi dicono che il mandante di questo omicidio è Francesco Squillaci”, ha detto il pm Liguori. Il magistrato ha evidenziato, com’era prevedibile, che “nelle dichiarazioni dei due imputati non si sono riferimenti ad Aurelio Quattroluni, colui che ha organizzato quest’omicidio essendo all’epoca il responsabile del clan Santapaola in libertà. È ovvio che è molto più comodo accusare un collaboratore di giustizia e soprattutto appare evidente l’accordo tra tutti, accordo tacito, tra tutti coloro che confessano per cui bisogna limitarsi ad accusare solo gli imputati che a loro volta ammettono la propria responsabilità”. In questa parte per Liguori “i due imputati non sono affatto credibili e attendibili”. 


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