La mia quarta promozione - Live Sicilia

La mia quarta promozione

Quella di ieri a Novara non è stata tra le più belle promozioni che ricordo ma di certo la meno sofferta sul campo e densa di rivincite

il pensiero
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Nella mia cinquantenaria storia di tifoso rosanero, questa è la quarta promozione in Serie A che ricordi. Forse non è stata la più bella. Di certo la meno sofferta sul campo e quella più densa di rivincite. Della prima ricordo Don Carmelo con lo sguardo pensoso e la sigaretta in bocca in un’epoca in cui in panchina si poteva fumare e un catanese poteva essere amatissimo a Palermo. E poi il mio mito di bambino: Stecco Ferretti, il portiere tutto nero che si tuffava di rado e parava senza guanti. Poi venne Ninetto e una squadra che raramente divertiva e che godeva della solidità della difesa, delle invenzioni di Torero Camomillo e della potenza del Reuccio di Resuttana. Dovemmo aspettare l’ultimo minuto dell’ultima partita, un risicato 0-0 al San Paolo contro il già retrocesso Sorrento, per gioire attaccati alle nostre radioline gracchianti. E poi passarono 32 anni di inferno, purgatorio e limbo. Tre decadi fatte di radiazioni e scarponi, di campi polverosi e trasferte in capo al mondo, di corrotti e imbroglioni, di presidenti falliti, incarcerati e ammazzati. E quando tutto questo finì, la gioia esplose in città. Tutto si colorò di rosanero: gli autobus, i balconi, le statue, i sacchetti del sale e quelli dello zucchero. Gioimmo di una gioia che a molti era ignota. Una città che aveva sempre guardato alla sua squadra come fosse la ruota di scorta nascosta sotto il tappetino del baule si scoprì di colpo innamorata.

Questa volta è diverso. Allo stadio siamo stati sempre in pochi. Nelle scorse settimane solo qualche bandiera qui e là. Come se vivessimo a Madrid e non a Palermo. Come se fossimo abituati a chissà quali trionfi. In campo e fuori. E le solite stucchevoli polemiche su Zamparini. L’uomo che, con tutti i suoi difetti, ha tenuto fede alla parola data nel giorno più amaro della sua gestione. L’uomo al cui nome sono legati, nessuno lo dimentichi, i migliori risultati dell’ultra-centenaria storia della nostra squadra. Comunque la si pensi, il mio primo ringraziamento va a lui. Con la speranza, mai doma, di poter vivere il prossimo anno una stagione normale. Senza promesse e senza sparate. Senza chiacchiere e svolte epocali che durano un mese. Senza traffico da ora di punta in panchina, in campo e nelle stanze dei bottoni.

Ci sono alcune altre persone a cui penso in questo momento di gioia. Ai cuori rosanero che siedono in panchina. Il primo, naturalmente, è Beppe Iachini, capitano della squadra dei picciotti di Arcoleo che ci fece sognare ciò che oggi ci ha donato: Forse era scritto che un giorno ci avrebbe condotto in Serie A. Dell’epoca in cui avevamo i capelli ricordo il gol di testa al Milan in Coppa Italia e l’ovazione durante il giro di campo nel giorno dell’addio: un omaggio riservato a mia memoria solo a Corini, Amauri e Fontana. E poi i due ex-portieri divenuti preparatori che oggi saltavano come ragazzini. Il primo è Franco “Paletta” Paleari, l’unico con “Il Gringo” Veneranda capace di restare qui quando tutti gli altri Schettini abbandonavano la nave che affondava sotto i siluri di Carraro e Matarrese. Il secondo è “Vicè” Sicignano che, dopo tanti anni di vacche magre, andò via sul più bello dopo la sconfitta per 3-0 nello spareggio-promozione sul campo di Lecce. Infine il DS Perinetti, uno degli artefici principali dello sconquasso dello scorso anno. Anche lui oggi ha sanato un debito: quello contratto con la sua squadra del cuore e con la moglie palermitana cui ha dedicato commosso la rivincita.

E chissà come stanno festeggiando nel mondo dei più quelli che la bandiera rosanero la portano dove più in alto non si può. Penso a Renzo e Ferruccio, a Totino, a Erminio, a Stecco, a Nando, a Gianni e a Francesco. E a Gino, mio padre. Colui che mi trasmise questa malattia e che al Palermo dedicò l’ultimo sorriso della sua vita. Lo rivedo un sabato mattina in un letto d’ospedale, la flebo attaccata al braccio e tanti fili al petto. La traccia scorre sul monitor, il “bip” segna il ritmo del suo cuore malato. Con un filo di voce mi chiede: “Che ha fatto il Palermo ?”. “Ha vinto 2-0 a Pistoia con doppietta di La Grotteria”. Un sorriso accennato, il pugno che si stringe appena in un segno di esultanza. Mio padre morì l’indomani mattina. Oggi gioisce ancora. “Ciao, papà. Abbiamo vinto a Novara. Siamo tornati in Serie A”.

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