Chi è il mio prossimo?; è la domanda che uno scriba in difficoltà pone a Gesù di Nazareth nel vangelo di Luca. Conosciamo la risposta del giovane maestro attraverso la splendida parabola del buon Samaritano: il problema è farsi prossimo dell’uomo mezzo morto che incontriamo per strada. E si fa prossimo colui che prova compassione.
Quell’antica domanda non sembra di più facile soluzione nella città contemporanea. Ciascuno di noi vive l’esperienza del contatto con l’altro, dalla folla, al luogo di lavoro, al condominio, eppure le ricerche più recenti ci dicono che in tanti, nelle nostre società, vivono l’esperienza dell’isolamento. Scriveva il poeta Giorgio Caproni: “Cristo ogni tanto torna, / se ne va, chi l’ascolta… / Il cuore della città / è morto, la folla passa / e schiaccia – è buia massa / compatta, è cecità”. Siamo più soli. Ci sentiamo più insicuri e privilegiamo la solitudine alla socialità. Abbiamo paura di farci prossimi. Negli ultimi anni, le politiche pubbliche hanno molto insistito sul tema della sicurezza, intesa come tutela dell’ordine pubblico e condizione necessaria perché si realizzi la libertà di ciascun cittadino. Non solo, ma questa idea di sicurezza si è coniugata con una certa estetica della vita sociale.
Un termine centrale nella legislazione più recente è quello di decoro. La sicurezza ha tra le sue finalità quella di tutelare il decoro delle città. A questo fine sono stati forniti maggiori poteri ai sindaci, perché vengano liberati gli spazi pubblici da prostituzione, spaccio di stupefacenti e accattonaggio (penso non sia necessario insistere sul fatto che si tratti di fenomeni estremamente diversi tra loro). Non vengono eliminate le cause, ma viene eliminato quel che crea nel cittadino una percezione di insicurezza. Io non vedo, quindi sono più sicuro.
Quel che conta è eliminare tutte le forme di devianza dalla vista del cittadino, relegandole in territori oscuri. Oggi molti attori politici hanno fatto un ulteriore passo avanti su questo terreno, ponendo al centro della loro narrazione il migrante come portatore di tutti i mali. Si tratta di una ricerca del consenso basata sull’antica paura che suscita in ciascuno lo Straniero, l’Altro.
Nel nazismo e nel fascismo questa paura veniva incarnata dall’Ebreo. Oggi l’antisemitismo sembra meno pervicace, ma a volte assume solo altre forme. In una vasta area di destra radicale l’antisemitismo si traveste, per esempio, da avversione per George Soros, il milionario e filantropo americano, accusato di cospirare contro la purezza dei valori occidentali dai nazionalisti di ogni paese. Ma quel che mi interessa discutere adesso è quale idea di città, di vita comune, stiamo edificando in base a questo concetto di sicurezza.
Un povero non ha diritto alla sicurezza? Chi vive per strada non dovrebbe rivendicare il diritto ad un’esistenza sicura? Un migrante non ha diritto alla sicurezza nel paese in cui ha scelto di venire? Un anziano può sentirsi sicuro, se le sue condizioni fisiche gli impediscono di uscire da casa? Quelle che papa Francesco ha chiamato le periferie geografiche ed esistenziali, pongono una domanda di sicurezza, a cui non si può dare risposta solo in termini repressivi.
Non sarà il codice penale a risolvere il problemi delle vittime. La legge deve intervenire a reprimere, ma solo la cultura, la solidarietà e il ripudio per ogni forma di violenza possono costruire un clima migliore in cui vivere. Un anziano sarà felice se le forze dell’ordine arresteranno coloro che hanno tentato di truffarlo, ma se vogliamo che gli uomini e le donne vivano meglio e più a lungo, ciascuno deve imparare a prendersi cura l’uno dell’altro.
A Roma la Comunità di Sant’Egidio ha messo in piedi una rete di volontari, spesso anziani anche loro, che si alternano al telefono per monitorare le condizioni di quasi tremila anziani che vivono soli in casa. Una telefonata per ricordare di prendere le medicine, per sapere se occorre qualcosa o per chiedere solo: come stai? Insieme a questo servizio, si è messo in moto un meccanismo virtuoso, per cui il portiere, il vicino di casa, il negoziante, si interessano della vita di quell’anziano che vive accanto a loro. Il vicinato si fa prossimità. E nel farsi prossimo, ciascuno è più libero e sicuro.