“Ora è arrivato il momento in cui ognuno di noi si deve assumere le sue responsabilità”. Così Totò Riina avrebbe esordito alla riunone della commissione mafiosa che, attorno al 13 dicembre 1991, dava avvio all’organizzazione delle stragi. La stagione del terrorismo mafioso non nasce dunque all’indomani della sentenza della Cassazione sul maxiprocesso di Palermo istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Si tratta di uno dei passaggi cruciali rivisitati dalla procura di Caltanissetta nella sua inchiesta sulla strage di via D’Amelio.
“Cosa Nostra aveva antenne ben addentrate nelle istituzioni – scrivono i magistrati di Caltanissetta – per riuscire a capire, ancora prima, che la decisione finale di questo processo sarebbe stata a sé contraria”. “Una storia già iniziata negli anni precedenti, dal 1989 almeno”, alla mancata strage all’Addaura. In quell’occasione, quando il capo dei capi si presentò con quella frase, calò il gelo nella stanza, secondo quanto riporta il pentito Nino Giuffrè, e nessuno aveva osato dire una sola parola. “Siamo arrivati – avrebbe aggiunto Riina – come ho detto e ripeto, al capolinea, cioè ci deve essere la resa dei conti…”. E non importavano le conseguenze a cui avrebbe portato, “chiddu chi veni ni pigghiamu” avrebbe detto Riina già da quell’ultimo scorcio del 1991.
A quella riunione avrebbero partecipato: Matteo Motisi, Giuseppe Farinella, Carlo Greco, Pietro Aglieri, Michelangelo La Barbera, Salvatore Cangemi, Giovanni Brusca, Raffaele Ganci, Salvatore Biondino, Salvatore Madonia e Giuseppe Graviano. A questi si sarebbe aggiunto anche un avvocato della famiglia Gambino di New York, colpita al cuore da operazioni come “Pizza connection” e “Iron tower”, che si era fatto vedere “preventivamente” fra il 1988 e il 1989 per capire “il da farsi”.
Alle dichiarazioni di Giuffrè si aggiungono quelle di Giovanni Brusca, sentito nel 2009 a proposito della plenaria in cui Cosa nostra dava avvio al suo piano sanguinario. “Tutte queste persone – dice Brusca a proposito dei partecipanti alla riunione – sapevano che si doveva uccidere Falcone e non c’era bisogno di rideliberarlo, visto che la volontà era già stata espressa da tutti. In particolare, Riina, in quell’occasione, dopo aver detto che non c’era più niente da fare per il maxi processo, aveva aggiunto: ‘Li ammazzo a tutti, ora gliela faccio vedere io’, riferendosi esattamente agli uomini delle istituzioni e a quelli vicino a Cosa nostra che avevano permesso di arrivare a questi risultati. …”.
Quindi già alla fine del 1991 era tutto deciso. A quella riunione ne seguirono altre, operative, con piccoli gruppi. “Sostanzialmente – concludono i magistrati nisseni – la riunione degli ‘auguri’ di fine ‘91 ha avuto un contenuto strategico deliberativo meno estensivo di quelle ‘ristrette’ tenutesi tra febbraio e marzo del 1992, in quanto nella prima la deliberazione riguardava solamente l’eliminazione dei nemici di Cosa nostra (i magistrati Falcone e Borsellino), i traditori (i deputati Mannino e Martelli) e gli inaffidabili (l’on. Lima), mentre la parte strategica mirava ad un ‘regolamento di conti’; nelle riunioni di febbraio/marzo, oltre ai predetti motivi, la parte deliberativa si era estesa con l’ulteriore obiettivo di eliminare anche altri personaggi ‘eccellenti’ (il Questore Arnaldo La Barbera, il Procuratore Grasso, l’on.le Purpura, l’on. Vizzini), e la parte strategica aveva anche il proposito di destabilizzare lo Stato”.