La porta segreta su Palermo - Live Sicilia

La porta segreta su Palermo

C'è una soluzione, un riparo dall'odio che Palermo può suscitare nei suoi abitanti? Giacomo Cacciatore si chiude fuori, lontano. Nel segreto di quella stanza, Palermo si può ancora vivere.

PALERMO – Ho letto lo sfogo di Alessandra, la sua dichiarazione di incompatibilità con Palermo. A pelle, il suo è un sentimento che appartiene anche a me. Ci sono state mattine – tante, troppe ormai – nelle quali, svegliandomi e aprendo le ante del mio balcone, ho maledetto questa città. Alla rabbia per fortuna (o purtroppo?) rimpiazzata da una progressiva atarassia, è poi subentrata l’esasperazione. Pacata. Non mi si chieda conto e ragione dell’ossimoro: qui succede anche questo.

Palermo, quando non ti ammazza, ti sfibra. Alla fine, convivendoci e non potendola cancellare dallo stato di famiglia – per buon cuore, per un amore sepolto nelle pieghe della memoria eppure ancora bruciante, o ammettiamolo, per vigliaccheria – ti riduci a storcere la bocca e far tentennare il capo, come un vecchio che all’ennesima follia della pecora nera della famiglia borbotta: “Ma pazienza, ingoiamo anche questa. E’ fatta così. La devo strozzare?”. No. Anche perché sarebbe lei, Palermo, a strozzarti.

Però, essendo io uno che scrive, ho il vizio di andare più a fondo. Di scovare quelle che noi raccontatori chiamiamo “motivazioni”; del personaggio, dell’assetto sociale. Andiamo per gradi.

La politica e chi comanda. I volti che per ora – e fino alle regionali – s’affacciano dai megamanifesti sparsi per la città parlano da sé. Mi affascina da sempre la fisiognomica. Ma quelle facce la mettono fuori gioco. Non hanno mistero, e resta ben poco da studiare nelle loro espressioni. Ho capito già tutto, e sarei tentato dall’irresistibile colpevolezza della scheda nulla.

La media borghesia “sinistrata”: io stesso vi appartengo. Ci dividiamo tra nevrotici che si riparano nell’acquisto compulsivo (l’auto, l’iPod, l’iPad, l’iTutto) e schifati che preparano bagagli destinati a non partire (i fine settimana all’agriturismo, la settimana in oasi di civiltà straniere, la fuga definitiva in Trentino o vediamo). Dei fighetti e dei rampanti non so. Non ci parliamo.

Il popolo. Ne conoscevo una versione unica al mondo. Quella di Ballarò. Ma ero piccolo, e loro molto originali, geniali nel dire e nell’arrangiarsi, e meno cattivi di adesso. Avendo il torto di possedere un paio di libri di Pasolini, gli rubo il ritratto di un popolo omologato, etichettato, televisivizzato e violentemente narciso.

La delinquenza: quella non è una sorpresa per gli antropologi. Quando non ci sono più speranza né santi a cui votarsi (anche mammasantissima), ci si prende quel che si vuole e che si può. Palermo non fa eccezione: si malacarnizza come New York o Tokyo, e niente ancora abbiamo visto.

Rimango io. Da qualche settimana, a chi mi chiede dove sto, rispondo: non a Palermo. Ho una porta segreta da aprire e chiudere. Il mio studio. La città ci entra a sprazzi e ricordi (sono i vantaggi di sapersi narratore), e da lì traggo ispirazione per scrivere cose. Per esempio, una modesta parodia di “abstract” come questo.


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