PALERMO – Ho letto lo sfogo di Alessandra, la sua dichiarazione di incompatibilità con Palermo. A pelle, il suo è un sentimento che appartiene anche a me. Ci sono state mattine – tante, troppe ormai – nelle quali, svegliandomi e aprendo le ante del mio balcone, ho maledetto questa città. Alla rabbia per fortuna (o purtroppo?) rimpiazzata da una progressiva atarassia, è poi subentrata l’esasperazione. Pacata. Non mi si chieda conto e ragione dell’ossimoro: qui succede anche questo.
Palermo, quando non ti ammazza, ti sfibra. Alla fine, convivendoci e non potendola cancellare dallo stato di famiglia – per buon cuore, per un amore sepolto nelle pieghe della memoria eppure ancora bruciante, o ammettiamolo, per vigliaccheria – ti riduci a storcere la bocca e far tentennare il capo, come un vecchio che all’ennesima follia della pecora nera della famiglia borbotta: “Ma pazienza, ingoiamo anche questa. E’ fatta così. La devo strozzare?”. No. Anche perché sarebbe lei, Palermo, a strozzarti.
Però, essendo io uno che scrive, ho il vizio di andare più a fondo. Di scovare quelle che noi raccontatori chiamiamo “motivazioni”; del personaggio, dell’assetto sociale. Andiamo per gradi.
La politica e chi comanda. I volti che per ora – e fino alle regionali – s’affacciano dai megamanifesti sparsi per la città parlano da sé. Mi affascina da sempre la fisiognomica. Ma quelle facce la mettono fuori gioco. Non hanno mistero, e resta ben poco da studiare nelle loro espressioni. Ho capito già tutto, e sarei tentato dall’irresistibile colpevolezza della scheda nulla.
La media borghesia “sinistrata”: io stesso vi appartengo. Ci dividiamo tra nevrotici che si riparano nell’acquisto compulsivo (l’auto, l’iPod, l’iPad, l’iTutto) e schifati che preparano bagagli destinati a non partire (i fine settimana all’agriturismo, la settimana in oasi di civiltà straniere, la fuga definitiva in Trentino o vediamo). Dei fighetti e dei rampanti non so. Non ci parliamo.
Il popolo. Ne conoscevo una versione unica al mondo. Quella di Ballarò. Ma ero piccolo, e loro molto originali, geniali nel dire e nell’arrangiarsi, e meno cattivi di adesso. Avendo il torto di possedere un paio di libri di Pasolini, gli rubo il ritratto di un popolo omologato, etichettato, televisivizzato e violentemente narciso.
La delinquenza: quella non è una sorpresa per gli antropologi. Quando non ci sono più speranza né santi a cui votarsi (anche mammasantissima), ci si prende quel che si vuole e che si può. Palermo non fa eccezione: si malacarnizza come New York o Tokyo, e niente ancora abbiamo visto.
Rimango io. Da qualche settimana, a chi mi chiede dove sto, rispondo: non a Palermo. Ho una porta segreta da aprire e chiudere. Il mio studio. La città ci entra a sprazzi e ricordi (sono i vantaggi di sapersi narratore), e da lì traggo ispirazione per scrivere cose. Per esempio, una modesta parodia di “abstract” come questo.