La scelta dell'asino - Live Sicilia

La scelta dell’asino

In Sicilia turismo e cultura potrebbero da soli trainare l’economia regionale. E invece, nonostante il vasto patrimonio artistico, l’industria culturale isolana rende poco. Sarà colpa del clima?

PALERMO – In un paese così ricco di beni culturali da generare una collettiva sindrome di Stendhal, chissà quante volte Giulio Tremonti avrà rimpianto di aver proferito la lapidaria sentenza «con la cultura non si mangia». Anche se fin troppo spesso lasciamo che siano altre nazioni a consumare lauti pasti con i tesori italiani, è ben noto quanto pesi la cultura nell’economia nazionale, considerato che, in termini monetari, nel suo complesso il settore culturale produce in un anno un valore aggiunto di circa ottanta miliardi di euro (pari al 5,8 per cento dell’economia nazionale).

In Sicilia turismo e cultura potrebbero da soli trainare l’economia regionale. E invece, nonostante il vasto patrimonio artistico, l’industria culturale isolana rende poco: vale 2,4 miliardi, ovvero il 3,4% del totale della ricchezza regionale prodotta nel 2013.

Sarà colpa del clima fratricida?  Ricordiamo, nella passata stagione estiva, la “rivolta” dei teatri antichi e dei musei contro la Regione “vampira”, divampata in tutta l’Isola, da Siracusa a Taormina (ove da tempo si invoca l’istituzione di una Fondazione per Taoarte), a causa dell’ultimo di una serie di smacchi subiti a livello locale: l’introduzione nelle biglietterie dei sistemi meccanizzati per pagare con la carta di credito, per cui gli incassi sarebbero confluiti direttamente alla Regione, che avrebbe poi provveduto a ripartirli all’Assessorato Regionale ai Beni culturali, alle Soprintendenze e ai Comuni.

Risalenti e permanenti guerre tra poveri, delle quali tutti i cittadini siciliani pagano il prezzo, quando i concetti chiave per il rilancio dell’economia sono innovazione e internazionalizzazione, specie riguardo al turismo. Il Consiglio di Territorio Unicredit ha appena organizzato a Catania il Forum ‘I saperi del territorio’ per incentivare il dibattito sulle possibili soluzioni per far crescere la produttività economica della cultura in Sicilia. Si è rilevato come a fronte del cambiamento radicale delle condizioni economiche, sociali, tecnologiche e della introduzione degli input immateriali derivanti dalla rivoluzione digitale, conoscenze e pratiche debbano essere profondamente rinnovate, in quanto da esse dipende la capacità competitiva dell’Isola, come del resto del Paese. I profitti che le altre nazioni non realizzano con i musei, li ottengono investendo sui beni culturali per creare le condizioni di un ritorno economico, mentre in Italia non stiamo incentivando la capacità di stare al passo col progresso al punto da attrarre investimenti per rendere sostenibile il patrimonio storico-artistico. E senza innovazione si rischia di perdere la sfida del futuro, perché un museo, tanto per fare un esempio, non può più essere semplicemente considerato una collezione di “oggetti con targhetta”.

E’ mutato il concetto stesso di fruizione del bene culturale: occorre investire in tecnologie che permettano di accedere ad essi in modo nuovo, come la realtà aumentata, l’olografia e l’internet delle cose. La nostra unica certezza, che nessuno possa rubarci il patrimonio artistico, ovvero che i nostri beni culturali non possano essere delocalizzati, è vacillante: la realtà aumentata avrà un ruolo sempre maggiore nella fruizione dei siti. Ovviamente, ci guadagnerà chi controllerà questa tecnologia; i prodotti a maggior valore aggiunto saranno in mano a paesi come la Corea del Sud, e, a proposito di mangiare con la cultura, ci toccheranno le briciole. O meglio, incerti tra conservazione dell’arte e innovazione tecnologica per goderne, faremo la fine del leggendario asino immaginato dal filosofo medievale Jean Buridan, che posto di fronte a due uguali cumuli di fieno rimase immobile senza scegliere da quale cominciare a nutrirsi: per non decidere, morì di stenti.

L’Italia ha un patrimonio così grande da non riuscire a gestirlo. I dati sono impressionanti: più di quattrocento musei e monumenti statali, quattromila locali e privati, cinquantamila beni archeologici e architettonici. Abbiamo anche il record mondiale di siti tutelati dall’Unesco, 49 su 981. Questo immenso tesoro è diventato un problema? Di certo, i paesi che hanno pochi siti identificabili riescono a gestire meglio il loro patrimonio storico-artistico. Inoltre, si concentrano maggiormente sulla produzione culturale contemporanea. In buona sostanza, loro guardano al futuro, noi no: e se gli antichi romani avessero fatto lo stesso? Senza le opere gigantesche intraprese nel passato, oggi non avremmo i monumenti che invece abbiamo. Al posto del Colosseo, una grande sterpaglia… ci piacerebbe?

Alcuni dati riguardo alla presenza degli stranieri sul nostro territorio. L’Agenzia Nazionale del Turismo (ENIT), ha reso noto lo studio dell’Organizzazione Mondiale del Turismo, UNWTO Barometer, December 2014. Nel 2013 i turisti internazionali hanno toccato quota 1,087 miliardi, con un incremento pari al 4,7% rispetto all’anno precedente. L’Europa si conferma come l’area che ha attratto il maggior numero di turisti (566,3 mln), seguita da Asia (249,8 mln), Americhe (168,1 mln), Africa (54,7 mln) e Medio Oriente (48,2 mln). Discendendo dai massimi sistemi, l’Italia, nella graduatoria delle destinazioni turistiche mondiali più frequentate, è al quinto posto per gli arrivi internazionali e al sesto per gli introiti valutari. Su un totale di 184.793.382 presenze di stranieri nel nostro Paese, la Sicilia si colloca all’ottavo posto tra le regioni italiane, con un totale di 7.148.069 presenze. Non sembra poi così male: allora, cosa non funziona? Forse qualcosa che ha che fare con i nostri disastrati, incivili, infelici, miserabili, saltuari (chi più ne ha più ne metta, anche in ordine non alfabetico) trasporti interni? Con la deturpata “immagine Sicilia”?

In tema di restyling dell’immagine, il Comune di Palermo ha pubblicato un bando di gara per stampare una brochure per incentivare il turismo nella città illustrando le meraviglie che Palermo possiede, come pure il Concorso di Idee per la produzione di uno spot per raccontare il capoluogo, dal titolo “Palermo welcome”. Nel video si dovranno promuovere il patrimonio artistico, la cultura, l’accoglienza, lo street food, tutte le tipicità di una città stupenda, che, mediante l’uso di tecniche innovative di ripresa e montaggio risulti al massimo delle sue attrattive. Sarebbe bello che le idee concorrenti, in una gara di ottimismo della volontà, fossero tante e rivoluzionarie.

L’Europa, infine, lancia un richiamo (che si ode flebile, in verità, dalle parti nostre) per la riscoperta della cultura e dell’arte intese come occasione privilegiata per lo sviluppo. Il Parlamento europeo ha formalmente sancito il doppio carattere della cultura, intrinseco ed economico. Sembra la scoperta dell’acqua calda, specie di questi tempi, nei quali rispondere alla vocazione culturale potrebbe consistere nella creazione di nuove occasioni di lavoro per i giovani siciliani. Entro la fine del 2015 la Regione deve utilizzare i fondi europei assegnati alla Sicilia raggiungendo almeno il 72% dei Fesr 2007/2013 (pari a poco più di 4 miliardi di euro), spendendo, pertanto, almeno due miliardi e ottocento milioni. In caso contrario, nel prossimo piano settennale si rischia un taglio ai fondi destinati da Bruxelles a Palermo fino al 2020. E’ auspicabile che, dopo l’accelerazione della certificazione della spesa messa in atto alla fine del 2014, nel corso del 2015 la Regione Siciliana aumenti gli investimenti anche nel settore Cultura e Ambiente.

Tra politici che pensano e dicono che con la cultura non si mangia, e quelli che lo pensano ma non lo dicono, sembra che l’apologo asinino prima citato si attagli a diverse situazioni paradossali e a molte scelte non compiute. Certo, Buridan presupponeva che l’essere umano, a differenza del quadrupede, fosse in grado di sottrarsi alla paralisi dell’intelletto. Ma se per non turbare accordi preesistenti (o fragili equilibri di governo) si scegliesse di non scegliere, il risultato sarebbe sempre lo stesso. Per dirla con Voltaire, che all’insensato somaro dedicò una poesia, l’asinello «de l’équilibre accomplissant les lois/ mourut de faim, de peur de faire un choix»: concretizzando le leggi dell’equilibrio, morì di fame, per timore di fare una scelta.

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