Ho sempre avuto, e non sono il solo tra i tifosi rosanero, un sacro rispetto per il nostro Capitano. Passano gli anni, ma il suo nome è sempre quello che s’ode più forte allo stadio quando Caterina annuncia la formazione. Fu lui a dedicare la vittoria sul campo della Juve agli operai di Termini, dipendenti di una strana razza di Agnelli che, dopo aver allattato alle mammelle di Stato, crescono lupi e non pecore. Fu ancora lui, con un ginocchio in pezzi, a segnare il rigore della speranza nello spareggio-Champions contro la Samp. Fu sempre lui a rinunciare a tante sterline per affermare che nel petto, più in fondo del taschino con il portafoglio, c’è il cuore. Certo, la maglia è sempre più stretta ed i muscoli sempre più fragili. Ma quando lui sta bene il Palermo è proprio un’altra squadra.
Gli ultimi schizzi di fango che escono dalla cloaca “scommessopoli” hanno sfiorato la nostra squadra. Come è noto, la partita incriminata sarebbe quella del 7/5/2011 tra un Palermo già con la testa alla finale di Coppa Italia ed il Bari di Mutti già in Serie B da settimane. Secondo le dichiarazioni di quel galantuomo di Gervasoni, alcuni giocatori del Bari (Bentivoglio, Parisi, Andrea Masiello, Rossi e Padelli) si sarebbero prodigati per far sì che la partita terminasse con una sconfitta del Bari con almeno due gol di scarto. Rivedendo le immagini della partita con il “senno del poi”, sorge qualche dubbio. Certo, Bentivoglio non può far a meno di segnare a porta vuota il gol dell’iniziale vantaggio barese. Ma Sirigu evita il gol dello 0-2 proprio su tiro di Parisi. E se si hanno dubbi sulla dinamica del gol del 2-1 di Bovo, basti guardare quella, molto simile, del gol del vantaggio barese. E poi la parata pazzesca di Sirigu su tiro a botta sicura di Kopunek sul 2-1.
Infine, il rigore del possibile 3-1, citato come prova della complicità del portiere Padelli nella “combine a perdere”. In primo luogo, trovo strano che la presunta combine sfumi al 19’della ripresa con quasi mezz’ora di tempo ancora da giocare. In secondo luogo, osservo che la dinamica dell’azione incriminata è identica a quella delle azioni che due stagioni fa ci costarono rigore e vittoria nei minuti finali di Palermo-Roma (errore di Rubinho) e Genoa-Palermo (errore di Sirigu). Pur se quegli errori erano gravi, nessuno si sognò di pensare che i nostri portieri l’avessero fatto apposta. Perché noi vogliamo credere che l’errore sia parte del gioco. Ma se invece così non fosse e Padelli si fosse davvero venduto, chi vieterà a noi che paghiamo di guardare con sospetto ad ogni uscita, ad ogni fallo da rigore ? Chi ci potrà togliere dalla mente l’idea che dietro il gesto da campione non ci sia l’aiutino dell’avversario compiacente ?
Il pericolo maggiore che deriva dalla periodica recrudescenza di una malattia ormai endemica nel calcio italiano è la perdita di credibilità del calciatore in quanto atleta e professionista. Coloro che campano con il calcio dovrebbero capire che stanno rischiando, tutti quanti e non solo i pesciolini, di perdere pane e ricco companatico.
Per fortuna, a tirarci su il morale ci pensa lui: il grande Fabrizio. Che conferma il suo essere “altro”. Rileggiamo, sempre con il “senno del poi”, la decisione di tirare il “cucchiaio” che precede l’errore dal dischetto. Provo ad entrare nella sua mente. Prima ipotesi: “Tifo per il Lecce, come ho appena urlato davanti alla telecamera. Detesto il Bari,. Stiamo 2-1 in casa in una partita che non vale nulla. Ho di fronte un portierino che se la fa sotto. Mi passo lo sfizio di prenderli in giro. Così a Lecce mi fanno la statua in Piazza Sant’Oronzo”. Ma Sant’Oronzo lo punisce e gli va male. Così come va male a Padelli. Che se era “pulito” ha parato un rigore che prendevo pure io che ho il mal di schiena, mentre in caso contrario si vede sfumare “l’extra”. Seconda ipotesi: “Qualcosa non quadra. Questi si scansano per farci segnare e ci hanno regalato un rigore. Lo sbaglio apposta. Così scombino i loro piani e dimostro a tutti che noi non c’entriamo”. Comunque la si immagini, Fabrizio Miccoli restituisce a noi che amiamo il calcio un motivo per continuare a credere che sia ancora uno sport. Che non sia come il wrestling, dove alcuni omaccioni si guardano in cagnesco come se volessero ammazzarsi e poi sul ring neppure si sfiorano.
Che non sia come l’opera, dove una Tosca può lanciarsi dai bastioni di Castel Sant’Angelo e poi rialzarsi trionfante a raccogliere l’applauso finale. Che abbia agito solo da tifoso del Lecce o che abbia voluto difendere il Palermo mandando a monte una truffa, Fabrizio si è comportato, come sempre, da uomo vero.