Palermo, "i boss alla corte del re delle scommesse": intrecci e nomi

Palermo, “i boss alla corte del re delle scommesse”: intrecci, affari e nomi

Salvatore Rubino era al centro di un reticolo di interessi

PALERMO – La prima società, la “Bet for Bet”, fu avviata nel 2008. Salvatore Rubino iniziava la scalata nel mondo delle scommesse sportive che lo avrebbe portato alla creazione di un impero milionario ora finito sotto sequestro. È stato nel 2011 che i finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria notarono le prime operazioni anomale. Nella società confluirono nove assegni da 5 mila euro ciascuno. I 45 mila erano di Francesco Paolo Maniscalco.

Quando la mafia rubò l’oro dei poveri

Storia giudiziaria complessa quella di Maniscalco, da sempre sotto i riflettori della Direzione distrettuale antimafia di Palermo. Di lui si iniziò a parlare nel 1991 quando un commando svuotò il caveau del Monte di Pietà. Razziarono oro e gioielli per 18 miliardi di lire, spariti nel nulla. Qualcuno si gode ancora il bottino della mafia che rubò l’oro dei poveri. Del commando faceva parte Maniscalco che è stato anche condannato per mafia. Non uno qualunque, ma Totò Riina lo definiva “un ragazzo con le palle”.

Dopo avere finito di scontare nel 2006 una condanna a sei anni e otto mesi di carcere Maniscalco si era lanciato nel mondo degli affari: caffè, bar e agenzie di scommesse. Cambiava continuamente i soci delle aziende, ne chiudeva alcune per aprirne poco dopo altre. Ad un certo punto la sua strada si è intrecciata con quella di Rubino che nel frattempo aveva stretto rapporti con altri mafiosi di peso: Salvatore Sorrentino del Villaggio Santa Rosalia, Salvatore Milano di Porta Nuova e Settimo Mineo, capo mandamento di Pagliarelli.

Intrecci societari

Il 50% della “Bet for Bet” era detenuto da Rubino. Il rappresentante legale della società, nonché titolare del restante 50%, era Girolamo Di Marzo. Successivamente, attraverso la società Sisca, nella compagine erano entrati i fratelli Elio e Maurizio Camilleri che però scelsero di farsi da parte. Si erano accorti che i conti non tornavano. La liquidazione delle loro quote fu stabilita in 567 mila euro nel corso di alcune riunioni a cui parteciparono, oltre a Rubino e ai Camilleri, anche Mineo e Sorrentino. I termini dell’accordo li spiegava lo stesso Rubino a Sorrentino, intercettati nel 2017: “… rientro nella stanza e Franco (Maniscalco, ndr) mi fa… dice Salvo, da questo momento fatti la tua strada, loro non fanno più parte della tua società… Elio mi fa a me: scendi da Maurizio, da mio fratello, e gli dici che la situazione è conclusa, fate solo i conti”.

Sarebbe stato Manisalco a garantire che non si rompesse il giocattolo. Durante alcuni incontri nel suo negozio in via Paolo Emiliani Giudici, Rubino snocciolava la cifre: “… lui dice che avanza 170.000.. lui non avanza niente, avanza la banca che è una fideiussione, i soldi, 560.000 euro sei li è presi tutti…”. Per uscire dalla società ai Camilleri sarebbe andato poco più di mezzo milione di euro nel 2017.

Le concessioni statali

Ed era sempre Rubino a spiegare, senza sapere di essere intercettato, che i soldi investiti nel business delle scommesse “erano di altre persone e non suoi… i soldi che investiva con me”. Nel 2013 la “Bet for Bet”, dopo essersi aggiudicata una concessione dai Monopoli di Stato, ha ceduto i beni ad una nuova società. Si tratta della “Tierre Game”, a cui è legato il nome di Christian Tortora (anch’egli colpito dal sequestro di beni) che si aggiudicò la concessione messa a bando dallo Stato versando 819 mila euro. Il volume di affari di “Bet for Bet” esplose passando da 8 milioni nel 2013 a 27 nel 2014 a 62 milioni di euro nel 2015.

I soldi dei carcerati

Nettamente inferiore la cifra – 50 mila euro – ma molto più complicata la restituzione del denaro chiesta da Salvatore Milano, mafioso di Porta Nuova e un tempo cassiere del mandamento. Milano avrebbe investito nell’affare i soldi destinati alle famiglie dei detenuti. Maniscalco lo spiegava così a Sorrentino: “I soldi dei cristiani, i piccioli dei carcerati”. E Sorrentino aggiungeva sprezzante: “Ma veleno fanno sti piccioli… veleno fanno… che schifo, meglio in mezzo la strada”. I soldi a Milano sarebbero stati restituiti a rate. Una parte sarebbe andata alla sorella di Totuccio, Angela, vedova di Giuseppe Greco, fratello di Michele Greco, il ‘papa’ della mafia”.

Agli atti dell’inchiesta c’era anche un messaggio inviato da Salvatore Cillari, altro personaggio di Palermo Centro (è fratello di Gioacchino, boss ergastolano e di Giovan Battista e Antonino già condannati per mafia), a Rubino in cui si fa riferimento a 24.400 euro che servivano per comprare dei farmaci. Riscontri mai trovati. Altri passaggi di denaro sarebbero avvenuti dalle mani di Giovanni Di Noto, della Noce. Nel novembre 2017 Di Noto, considerato l’alter ego del boss della Noce Giovanni Musso, entrambi detenuti, era stato in Calabria “per fare la chiusura mese”. Dopo aver fatto rientro a Palermo i finanzieri lo videro arrivare con una borsa di colore nero nel negozio di Rubino.

A completare gli intrecci ci sono anche gli incontri fra Maniscalco ed Enrico Splendore, originario di Villabate, titolare di bar e centri scommesse, il cui patrimonio è stato confiscato lo scorso aprile. “Aveva il banco del totonero nella zona di Corso dei Mille”, raccontò il pentito Andrea Bonaccorso, il primo a fare il nome di Splendore. Erano gli anni in cui le scommesse sportive venivano raccolte in maniera clandestina. Non c’era ancora stato il boom delle agenzie, poi spuntate ad ogni angolo di strada. Maniscalco si sarebbe rivolto a Splendore per l’apertura di alcune nuove agenzie.


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