E così, dopo la “tragedia immane” di Casteldaccia, come l’ha definita il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, si torna a parlare di abusivismo edilizio e rischio idrogeologico. E del loro stretto rapporto. Si torna a farlo come sempre sull’onda dell’emergenza, dell’emotività che segue la tragedia. Come quando la Sicilia contò i morti di Giampilieri e Scaletta Zanclea, poco meno di dieci anni fa. Il dibattito sulla villetta di Casteldaccia, vicina, troppo vicina al fiume Milicia, che andava demolita e che è rimasta lì, è aperto. E adesso le indagini appureranno l’esatta dinamica della vicenda. Di certo c’è solo che se l’abitazione vicino al fiume Milicia che si è trasformata in una trappola mortale per nove persone andava effettivamente abbattuta ed è rimasta in piedi, questa non si può considerare un’eccezione, in Sicilia e in tutta Italia. Perché delle 71.450 ordinanze di demolizione emesse nel Paese negli ultimi 14 anni, l’80 per cento sono ancora da eseguire. Il dato è riassunto oggi in un grafico del Corriere della Sera, elaborato su dati Istat, Cresme e Legambiente, riferito al periodo gennaio 2014-giugno 2018. E parla per la Sicilia di 6.637 ordinanze di demolizione emesse di cui 1.089 eseguite. Insomma, l’83,6 per cento delle ordinanze nell’Isola sono rimaste lettera morta. Peggio, in percentuale, solo Lazio e Campania.
Il tema è antico e ben noto. Legambiente negli anni ha pubblicato dossier su dossier relativi all’argomento. A Termini Imerese, denuncia Legambiente citata dall’agenzia Adnkronos, giacciono in attesa di esecuzione ben 850 ordinanze definitive, di cui molte con sentenza che risale all’inizio degli anni ’90. E il procuratore capo di Agrigento, Luigi Patronaggio, intervenendo a un convegno organizzato da Legambiente nell’aprile scorso, ha dichiarato che nei comuni della provincia pendono oltre 36mila istanze di condono. Da quelle parti numeri monstre si registrano a Palma e Licata, dove di recente fece parlare di sé a livello nazionale la vicenda del sindaco Angelo Cambiano, protagonista di battaglie contro l’abusivismo e politicamente impallinato. Ad agosto 2015 si parlò parecchio delle ruspe che entrarono in azione nella Valle dei Templi di Agrigento. Dopo una ventina d’anni, ricostruirono i quotidiani, dall’accertamento dell’abuso.
“La tragedia di Casteldaccia deve far riflettere sui danni causati dall’abusivismo edilizio che in Sicilia sfiora il 49%”, commenta in una nota Paolo D’Anca, segretario della Filca Cisl Sicilia. Dati che fanno il paio con altri, inquietanti: in Sicilia, secondo un rapporto redatto dall’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, circa il 90 per cento dei comuni ha delle aree a rischio idrogeologico (il dato nazionale è del 91%). Nel dettaglio, si tratta di 360 comuni isolani con aree interessate a pericolosità da frana (elevata o molto elevata) o idraulica (elevata o molto elevata). Circa 120 mila persone abitano nelle aree con pericolosità da frana e 20 mila in quelle a pericolosità idraulica. Ci sono 50 mila edifici soggetti al rischio di frane, 14 mila minacciati dal rischio idraulico.
Servirebbero nuove norme, spiegano da anni gli addetti ai lavori. E prima servirebbe una politica meno morbida e prodiga di condoni e sanatorie nei confronti dei furbetti del cemento. Anche se la questione, così rappresentata, è un po’ troppo semplice. Perché certo, la politica delle sanatorie e dei condoni non ha aiutato. Ma il problema non si esaurisce certo lì. Proprio per l’aspetto della mancata esecuzione delle demolizioni. E del tempo che passa, prescrivendo gli abusi. Insomma, a conti fatti, a condonare l’abusivismo laddove non interviene il legislatore ci pensa il tempo. E gratis. Uno dei problemi sta nei Comuni che non hanno i soldi per abbattere gli edifici abusivi (quando ne hanno la voglia). Nell’agosto 2016, quando all’Ars rispuntò un’ipotesi di sanatoria che venne bloccata, i Verdi fecero notare che in ogni caso se non si davano i soldi ai Comuni per le demolizioni, tutto restava un buon proposito, tanto che il partito ecologista richiese in quell’occasione l’impiego del Genio militare.
La Regione, ha detto oggi il presidente Nello Musumeci, sta pensando “di creare un fondo di rotazione da dove attingere le risorse per finanziare le opere di demolizione dei manufatti abusivi, considerando che spesso i comuni sostengono di non potere procedere proprio per mancanza di fondi”.
Il tema richiede un approccio di sistema. Il presidente dell’Ordine dei geologi di Sicilia Giuseppe Collura parla di “decostruzione o delocalizzazione delle strutture che interferiscono in modo pericoloso con il territorio”. Ma per farlo servono soldi, figure professionali adeguate nella pubblica amministrazione, un forte coordinamento tra le Istituzioni. A proposito del quale è emblematico il dato diffuso oggi da Musumeci: sei mesi fa è stato chiesto ai 390 comuni siciliani un censimento delle case abusive, hanno risposto in 39. E in realtà, la richiesta di sei mesi fa sollecitava una risposta a una nota del 2017, che seguiva un’altra richiesta risalente al lontano 2013. Insomma, serve un grande sforzo della politica e delle Istituzioni a tutti i livelli. “Tutti i beni sono costituzionalmente tutelati ma l’interesse in gioco primario è la tutela della vita umana”, ha detto ieri a Palermo il premier Giuseppe Conte. Parole condivisibili, che però rischiano di finire in archivio pronte per essere rispolverate alla prossima tragedia.