La storia della Sicilia attraverso i suoi presidenti di Regione - Live Sicilia

La storia della Sicilia attraverso i suoi presidenti di Regione

Il volume di Giovanni Ciancimino e Loredana Passarello

PALERMO – Il volume di Giovanni Ciancimino e di Loredana Passarello, ‘I Presidenti della Sicilia’, Arti grafiche palermitane, offre uno sguardo biografico dei trenta presidenti della Regione siciliana, avvicendatisi dal 1947 ad oggi, in una preziosa raccolta di ritratti che, tuttavia, ha il pregio di scandagliare, con oculata precisione, anche il campo di azione politico e sociale, in cui è stata impressa l’esperienza istituzionale di ciascuno di loro.

Ogni Presidente ha, infatti, forgiato il suo ruolo a misura del proprio temperamento e dei propri orientamenti ideali, ma in una continua tensione con le incombenti vicissitudini che, a mano a mano, le stringenti condizioni dell’Isola lo hanno chiamato a fronteggiare. Sono quest’ultime che ne hanno misurato, in definitiva, le capacità politiche e segnato il giudizio nella storia della Istituzione regionale.

Le prime elezioni dell’Assemblea Regionale del 20 aprile 1947 tengono a battesimo l’Autonomia regionale. Essa costituisce l’indubbio approdo di una vicenda storica che s’inserisce nell’alveo del quadro istituzionale dell’Italia repubblicana, che ne riconosce con legge costituzionale la sua Carta fondamentale, cioè lo Statuto, il quale tuttavia sconta il mancato coordinamento sostanziale con la Costituzione italiana, essendo stato discusso e precipitosamente approvato durante l’ultima seduta utile dell’Assemblea Costituente. Ciò che si rivelerà, negli anni, motivo di un latente conflitto di potestà e di competenze, tra lo Stato e la Regione, che perdura fino ai nostri giorni.

Ciascun Presidente della Regione sarà, pertanto, chiamato a fare i conti con le inevitabili spinte centripete statali. Soprattutto chi ha dovuto impegnarsi direttamente nello sforzo di non vedere cancellate e stravolte alcune statuizioni dello Statuto. Si pensi alla battaglia politica condotta dai Presidenti Alessi, Restivo e La Loggia per scongiurare la soppressione dell’Alta Corte. O all’annoso contenzioso, ancora attuale, sugli articoli del titolo V (Patrimonio e finanza) dello Statuto. O, ancora, alle polemiche sulla mancata applicazione dell’articolo 31 – quello che stabilisce che al mantenimento dell’ordine pubblico in Sicilia provvede il Presidente della Regione. Prerogativa che, Ciancimino e Passarello ci ricordano, è stata fatta valere in soltanto due casi, per opera dei Presidenti Giuseppe La Loggia e Benedetto Majorana della Nicchiara.

Dal punto di vista economico, la Sicilia non riesce a decollare, sebbene il ricco ventaglio di provvedimenti legislativi approvati nei primi dieci anni di Autonomia dai governi Alessi, Restivo e La Loggia, avesse lasciato ben sperare che si potessero dispiegare le ali verso una possibile industrializzazione dell’Isola, anche grazie a una certa stabilità della formula politica centrista. Il successivo irrompere, tuttavia, degli elementi d’indeterminatezza su quelli di stabilità politica farà crescere il senso d’incompiutezza che stava minando le basi dell’Autonomia. Il sogno della industria in Sicilia apparirà così sempre più lontano, mentre la riforma agraria del 1950, arrivata con almeno un secolo di ritardo per via delle ottuse resistenze della classe latifondiaria, si rivelerà inutile nell’instaurare nuovi rapporti di produzione nelle campagne siciliane. Rimaneva il terziario, gonfiato nei numeri dalle assunzioni nella pubblica amministrazione, in special modo nella macchina amministrativa regionale impaniata nelle logiche discrezionali di reclutamento e nella mancanza di una razionale organizzazione del corpo burocratico. Questione, peraltro, riproposta nelle recenti dichiarazioni sferzanti del Presidente Nello Musumeci riguardo all’effettiva efficienza dei dipendenti regionali.

La questione siciliana, scissa dalla più ampia e complessa questione meridionale, mostrava ormai i segni di una profonda debolezza, soprattutto contrattuale, nei confronti dello Stato, il quale aveva iniziato a contrarre fortemente le risorse da trasferire alla Sicilia, in un momento in cui, con la nascita della Comunità Europea nel 1957, si privilegerà ulteriormente l’industria del Nord.

L’ineluttabile conseguenza fu quella di intrecciare i destini dell’Isola con l’intero Mezzogiorno. Ma da quel momento in poi la specialità siciliana, chiusa dentro il recinto delle proprie congenite fragilità sistemiche, perderà quello smalto che le aveva consentito di sperimentarsi verso un regionalismo che, pur nei limiti consentitigli dallo Stato, aveva rappresentato una nuova frontiera negli equilibri istituzionali e ​nell’attuazione di una strumentazione economica e sociale, imperfetta nella realizzazione e insufficiente nell’efficacia, ma che aveva tolto dal secolare tanfo stantìo dell’immobilità la Sicilia.

Sul piano politico, la spinta dell’Autonomismo non è riuscita a innescare percorsi politici originali. La Sicilia, infatti, dopo la vampata indipendentista dell’immediato dopoguerra, non ha conosciuto – a differenza delle altre Regioni a Statuto speciale – lo sviluppo di un importante partito regionale a sostegno dell’Autonomia statutaria. Il prezzo pagato fu quello di porre le rivendicazioni statutarie non al centro di un confronto tra pari poteri costituiti – la Regione e lo Stato – ma all’interno di una logica asfittica, in cui la questione siciliana costituiva soltanto una pedina nello scacchiere ben più complessivo del panorama politico nazionale.

E così quella della DC – che seppe rivolgersi ai siciliani con un programma di moderazione sociale e di intransigente autonomismo, che affondava le proprie radici nell’ Appello ai Liberi e Forti di don Sturzo – divenne una costante nella storia politica ed elettorale siciliana fino alla sua scomparsa nei primi anni Novanta, quando i riferimenti politici si modificano, ma presentano nell’Isola effetti meno evidenti di cambiamento. L’elezione diretta del Presidente della Regione (una norma costituzionale che, va detto, si muove sulla scia di quanto già concesso alle Regioni a statuto ordinario, a testimonianza dell’incidenza ormai marginale del ruolo ricoperto dalle specialità regionali), che nelle intenzioni del legislatore avrebbe dovuto scongiurare il trasformismo e comportare maggiore stabilità politica ed esecutivi più forti, grazie al premio di maggioranza, in verità, smentisce le sue promesse.

Nei casi, infatti, delle giunte Crocetta e Musumeci, la maggioranza esce dalle urne numericamente zoppicante e, addirittura, nel caso del governo di Raffaele Lombardo, si trasforma in corso d’opera in una nuova coalizione. L’azione di governo, oltretutto, in questi ultimi vent’anni è risultata essere il campo di ricaduta di ogni tensione che serpeggia all’interno delle forze di maggioranza, tra le quali, sempre più spesso, si scatena una deleteria competizione per la visibilità e la supremazia politica all’interno della coalizione. Contrariamente però a ciò che avveniva in passato, ogni dissenso resta soffocato, se non per gli ormai reiterati cambi di casacca, in ragione della cosiddetta sfiducia distruttiva – in base alla quale la sfiducia da parte dell’Assemblea al Presidente comporta parimenti lo scioglimento della stessa – vellicando in tal modo l’istinto di sopravvivenza del deputato regionale. Che, in un processo di preoccupante atomizzazione della politica diventa, grazie alla sua motilità politica, l’arbitro attraverso cui possono passare le ragioni del successo o del fallimento dell’azione di un governo. Proprio ciò che l’elezione diretta intendeva scongiurare, in questo scorcio di secolo in cui, anche in Sicilia, il sistema politico ha cercato a fatica nuove opportunità di rappresentanza, nuovi modi per incidere nel sociale, impotente ormai a comporre le spinte centrifughe originate da diversi centri di potere portatori di interessi non solo differenti, ma persino confliggenti nell’assicurare un progetto di società condiviso.

La politica ha finito così per smarrire le ragioni della propria missione e l’autorevolezza per testimoniare i propri ideali. Colpiscono, a tal proposito, le parole di don Sturzo – riportate da Ciancimino e Passarello nel libro – ad un Alessi riottoso ad accettare l’incarico di primo presidente della Regione, per la limpidezza con cui si confida nell’alto valore del servizio che la politica può rendere alla società, alla res pubblica . La politica odierna sradicata da ogni radice ideale e culturale appare, semmai, il luogo della mediocrità, sempre più inadeguata di fronte a una realtà che non definisce e non comprende e nella quale sembra avverarsi quanto profetizzava un secolo fa Max Weber, secondo il quale “… alla lunga il consigliere competente quasi sempre ha la meglio nel mandare ad effetto la propria volontà, sull’incompetente diventato ministro ”. Una terribile alea, quella in cui oscuri tecnocrati finiscono per detenere nelle proprie mani il potere di disporre e di decidere autonomamente, nella progressiva rarefazione di ogni spazio di democrazia. Un monito questo che anche la Sicilia non può affatto disattendere. La battaglia per l’Autonomia ci rammenta lo storico Francesco Renda “… fu conquista di libertà e di progresso della società civile ”. Un prezioso lascito che anche i futuri Presidenti della Regione non dovranno disperdere.nell’attuazione di una strumentazione economica e sociale, imperfetta nella realizzazione e insufficiente nell’efficacia, ma che aveva tolto dal secolare tanfo stantìo dell’immobilità la Sicilia. Sul piano politico, la spinta dell’Autonomismo non è riuscita a innescare percorsi politici originali. La Sicilia, infatti, dopo la vampata indipendentista dell’immediato dopoguerra, non ha conosciuto – a differenza delle altre Regioni a Statuto speciale – lo sviluppo di un importante partito regionale a sostegno dell’Autonomia statutaria. Il prezzo pagato fu quello di porre le rivendicazioni statutarie non al centro di un confronto tra pari poteri costituiti – la Regione e lo Stato – ma all’interno di una logica asfittica, in cui la questione siciliana costituiva soltanto una pedina nello scacchiere ben più complessivo del panorama politico nazionale. E così quella della DC – che seppe rivolgersi ai siciliani con un programma di moderazione sociale e di intransigente autonomismo, che affondava le proprie radici nell’ Appello ai Liberi e Forti di don Sturzo – divenne una costante nella storia politica ed elettorale siciliana fino alla sua scomparsa nei primi anni Novanta, quando i riferimenti politici si modificano, ma presentano nell’Isola effetti meno evidenti di cambiamento. L’elezione diretta del Presidente della Regione (una norma costituzionale che, va detto, si muove sulla scia di quanto già concesso alle Regioni a statuto ordinario, a testimonianza dell’incidenza ormai marginale del ruolo ricoperto dalle specialità regionali), che nelle intenzioni del legislatore avrebbe dovuto scongiurare il trasformismo e comportare maggiore stabilità politica ed esecutivi più forti, grazie al premio di maggioranza, in verità, smentisce le sue promesse. Nei casi, infatti, delle giunte Crocetta e Musumeci, la maggioranza esce dalle urne numericamente zoppicante e, addirittura, nel caso del governo di Raffaele Lombardo, si trasforma in corso d’opera in una nuova coalizione. L’azione di governo, oltretutto, in questi ultimi vent’anni è risultata essere il campo di ricaduta di ogni tensione che serpeggia all’interno delle forze di maggioranza, tra le quali, sempre più spesso, si scatena una deleteria competizione per la visibilità e la supremazia politica all’interno della coalizione. Contrariamente però a ciò che avveniva in passato, ogni dissenso resta soffocato, se non per gli ormai reiterati cambi di casacca, in ragione della cosiddetta sfiducia distruttiva – in base alla quale la sfiducia da parte dell’Assemblea al Presidente comporta parimenti lo scioglimento della stessa – vellicando in tal modo l’istinto di sopravvivenza del deputato regionale. Che, in un processo di preoccupante atomizzazione della politica diventa, grazie alla sua motilità politica, l’arbitro attraverso cui possono passare le ragioni del successo o del fallimento dell’azione di un governo. Proprio ciò che l’elezione diretta intendeva scongiurare, in questo scorcio di secolo in cui, anche in Sicilia, il sistema politico ha cercato a fatica nuove opportunità di rappresentanza, nuovi modi per incidere nel sociale, impotente ormai a comporre le spinte centrifughe originate da diversi centri di potere portatori di interessi non solo differenti, ma persino confliggenti nell’assicurare un progetto di società condiviso. La politica ha finito così per smarrire le ragioni della propria missione e l’autorevolezza per testimoniare i propri ideali. Colpiscono, a tal proposito, le parole di don Sturzo – riportate da Ciancimino e Passarello nel libro – ad un Alessi riottoso ad accettare l’incarico di primo presidente della Regione, per la limpidezza con cui si confida nell’alto valore del servizio che la politica può rendere alla società, alla res pubblica . La politica odierna sradicata da ogni radice ideale e culturale appare, semmai, il luogo della mediocrità, sempre più inadeguata di fronte a una realtà che non definisce e non comprende e nella quale sembra avverarsi quanto profetizzava un secolo fa Max Weber, secondo il quale “… alla lunga il consigliere competente quasi sempre ha la meglio nel mandare ad effetto la propria volontà, sull’incompetente diventato ministro ”. Una terribile alea, quella in cui oscuri tecnocrati finiscono per detenere nelle proprie mani il potere di disporre e di decidere autonomamente, nella progressiva rarefazione di ogni spazio di democrazia. Un monito questo che anche la Sicilia non può affatto disattendere. La battaglia per l’Autonomia ci rammenta lo storico Francesco Renda “… fu conquista di libertà e di progresso della società civile ”. Un prezioso lascito che anche i futuri Presidenti della Regione non dovranno disperdere.

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