(M.M.) Mauro La Mantia, presidente Giovane Italia della Sicilia occidentale.
Che tipo di crisi vivono le giovani generazioni?
“Quello che si vede è il dato economico. Siamo cresciuti con una serie di valori o disvalori basati sulla logica del consumismo. Nel momento in cui una crisi porta delle difficoltà economiche, per tutte le persone, benestanti o meno, questo provoca rabbia e animosità. Sentiamo movimenti giovanili di sinistra che in piazza gridano ‘Noi la crisi non la paghiamo’, in alcuni manifesti ho letto ‘diritto all’insolvenza’. Siamo d’accordo con loro sul fatto che viviamo questo periodo di difficoltà a causa dei poteri forti che noi non piacciono e in questo stringiamo loro la mano.
Ma la gente non fa la fila per il pane. Le strutture sociali tengono. La gente è in coda davanti ai negozi di elettronica che svendono tutto. Il sociologo Bauman (Zygmunt, ndr) ha descritto come a Londra gli studenti che hanno messo a ferro e a fuoco la città si sono riversati anche nei negozi per portarsi via i BlackBerry. E non lo dico io. Lo dice un sociologo che ha una sua posizione politica, generalmente riconosciuta lontano dagli ambienti di destra. Le banche hanno bisogno di questo tipo di crisi. Hanno bisogno di un popolo di debitori”.
Anche il cardinale Romeo lo ha detto: “Berlusconi ha ragione non ci sono segnali di vera crisi”.
“Ancora non ne vediamo gli effetti, è vero. Ma saranno gli attuali ventenni e trentenni a pagarla quando ne avranno 60-70. Tra di loro ne conosco veramente pochi che hanno già alle spalle sette o otto anni di contributi. Pochi riusciranno ad ricevere una pensione”.
Quali effetti la crisi provoca sulla visione del futuro propria questa generazione?
“Oggi la laurea non serve più a nulla per effetto della delocalizzazione che sposta l’offerta di lavoro verso altri paesi. A Palermo abbiamo manifestato in difesa di quei lavoratori dei call center che rischiano di perdere il posto perchè l’azienda ha intenzione di spostarsi altrove. In Sicilia molti call center stanno chiudendo per questo motivo”.
Passiamo agli scontri che sono avvenuti a Palermo lo scorso 17 novembre. Un segnale da tenere in considerazione?
“Va assolutamente ignorato. Ci sono ragazzi che quando manifestano perchè rischiano il posto di lavoro non rischiano una denuncia che metterebbe ancora più in difficoltà, non incendiano cassonetti. Questi soggetti vengono dai centri sociali e si definiscono anarco-insurrezionalisti e puntano sulla violenza a prescindere. I ragazzi che vivono vere difficoltà non perdono tempo così”.
Chi arriva ad attaccare perchè lo fa?
“Innanzitutto non serve a nulla. Rompere una vetrina cosa comporta? Parliamo di banche che di vetrine ne possono comprare altre mille. Giovedì la maggior parte dei ragazzi in piazza non ha fatto niente del genere. I più violenti hanno nome e cognome e sono collegati in tutta Italia alla rete InfoAut. In ogni società c’è sempre una parte violenta costituita da determinati giovani, perchè ci sono generazioni di ragazzi che fanno esplodere la violenza negli stadi. Sfogarsi contro le banche significa fare il loro gioco: loro diventano le vittime e colpirle significa fare loro un servizio. Mi chiedo se ci sia qualcuno che paghi chi le va ad attaccare”.
Di cosa hanno bisogno i giovani?
“Hanno bisogno di capire che se a loro non va questa società devono ripensare la propria vita. Non è più possibile indebitarsi: il consumismo va lasciato per uno stile di vita più normale, più semplice e modesto”.
Non si può più sognare?
“Certo, ma non cambiare un telefono dietro l’altro. A vent’anni non ci si può addormentare davanti a una tv. La rabbia deve essere canalizzata e non strumentalizzata. La crisi va anche studiata, non passa solo da qualche nota su facebook. Attorno a me non vedo consapevolezza e forse è da qui che parte il futuro”.