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La voce che può cambiare la storia

La città blindata
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In aula sono attesi quasi 200 giornalisti da tutta Italia e anche dall’Europa: Francia, Germania e Inghilterra hanno chiesto gli accrediti per le loro televisioni. E insieme a questi anche comuni cittadini che hanno inoltrato richiesta alla corte d’Appello. Perché la deposizione di oggi può segnare un prima e un dopo della storia dei rapporti fra Cosa nostra e la politica.

Il pentito Gaspare Spatuzza – per cui è stato chiesto il definitivo inserimento nel programma di protezione dalla procura di Firenze che lo ha ritenuto attendibile – ha aperto uno squarcio nella storia nebulosa del periodo delle stragi mafiose che si sono succedute fra il 1992 e il ’93. Ha riscritto la strage di via D’Amelio, autoaccusandosi e scagionando altre persone che sono già state condannate in via definitiva per l’eccidio. Sarebbe stato lui a portare la 126 imbottita di tritolo sotto casa della madre del giudice Paolo Borsellino. A Firenze ha raccontato, per filo e per segno, la strategia e l’organizzazione degli attentati a Milano, Roma e Firenze del 1993, quando Cosa nostra aveva imboccato la via del terrorismo per far scendere a patti lo Stato dopo la valanga di ergastoli decretati dal maxiprocesso istruito da Falcone e Borsellino. Ma Spatuzza parla anche di altro. Di politica, di economia, sviscerando i segreti dei fratelli Graviano, i boss stragisti a capo del mandamento mafioso di Brancaccio, la zona industriale di Palermo.

Parla di una trattativa fra i Graviano e uomini della politica. Una negoziazione di cui non ha percezione immediata ma che è andato a ricostruire man mano che passavano gli anni, da dietro le sbarre del 41-bis, e nei pochi colloqui che ha avuto con Filippo Graviano nel carcere di Tolmezzo, in Friuli. Ha fatto nomi importanti. Ha parlato di Marcello Dell’Utri, uno dei fondatori di Forza Italia, già condannato in primo grado a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Ma parla anche di Silvio Berlusconi, il presidente del consiglio, che proprio con Forza Italia è “sceso in campo” nell’agone politico nello stesso periodo.

I magistrati fiorentini hanno cercato riscontri alle sue dichiarazioni. Hanno ascoltato altri membri della cosca di Brancaccio. Hanno sentito Salvatore Grigoli, con cui Spatuzza ha compiuto l’omicidio di don Pino Puglisi. Hanno sentito Pietro Romeo, altro membro del gruppo di fuoco di Brancaccio, così come Giuseppe Ciaramitaro. Ma, soprattutto, hanno chiamato i fratelli Graviano che, con sorpresa, non si sono sottratti al confronto. Filippo Graviano ha parlato di una scelta di “legalità” che avrebbe compiuto in carcere, avviandosi anche agli studi universitari. Giuseppe Graviano, deponendo a un processo a Palermo, ha detto di “rispettare” Spatuzza. Un capomafia che non dà dell’ “infame” al pentito ma che, al contrario, si mostra comprensivo della sua scelta.

La tesi degli addetti ai lavori (ma che nessuno racconta) è che Spatuzza continui a essere, ancora oggi, il braccio dei fratelli Graviano, mandato avanti per “smuovere le acque” e lanciare segnali all’esterno. In un episodio che il pentito racconta, Filippo Graviano avrebbe fatto cenno a delle promesse che non sono state mantenute. Per cui “se non arriva niente da dove deve arrivare allora parliamo anche noi coi magistrati”. Se trattativa c’è stata è mancata la contropartita all’appoggio politico dei clan. E ora, i boss, provati dal 41 bis, avrebbero rotto gli indugi e deciso di rispondere alle domande dei magistrati. Spatuzza comincia oggi.


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