L'abbiamo messo sotto il tappeto, ma il Covid c'è e fa ancora male

L’abbiamo messo sotto il tappeto, ma il Covid c’è e fa ancora male

Perché il pericolo non è del tutto passato

Covid. Da negligenti che nascondono la polvere sotto il tappeto, abbiamo confinato la molesta parolina a occasionali esami di realtà, quando il virus ci colpisce in prima persona. Misurare l’impatto della pandemia sembra ormai un esercizio di statistica. E dire che, – un tempo santi, navigatori ed eroi -, gli italiani nel 2020, da massimi esperti di calcio, si erano validamente riciclati in massimi esperti di virologia. L’attenuarsi del morbo, con il conseguente appannarsi di vasti saperi biomedici, ha abbassato la media del capitale culturale nazionale: eppure occorre recuperare, perché in autunno l’incubo è tornato a materializzarsi.

Dall’8 novembre al 7 dicembre, i contagi sono saliti da 26.855 a 59.498, e si verificano circa 200 decessi a settimana; i dati sono in ascesa. Secondo un monitoraggio dell’Istituto Superiore di Sanità, le regioni che registrano il maggior numero di nuovi casi settimanali sono la Lombardia, il Veneto, il Lazio e il Piemonte. L’incidenza settimanale più elevata è nella Regione Veneto (176 casi per 100.000 abitanti) e la più bassa in Sicilia (2 casi per 100.000 abitanti).

All’evidente ripresa della circolazione virale, si affianca un’altra conseguenza dell’infezione da SARS-CoV-2, a lungo termine, visto che i sintomi durano settimane o addirittura mesi dopo il recupero dalla malattia acuta. Definito dall’OMS post Covid-19 condition, il long covid è caratterizzato dalla persistenza (o dall’insorgenza) di segni clinici, oltre le 12 settimane dal termine della fase acuta della malattia, che non possono essere spiegati da una diagnosi alternativa.

Un saggio pubblicato il 24 ottobre scorso da ricercatori dell’Imperial College di Londra ha evidenziato che migliaia di pazienti presentano sintomi Covid più di un anno dopo aver contratto il virus; il 7,5% dei pazienti riferisce sintomi persistenti per almeno tre mesi; il 5% sintomi durati persino più di un anno; tra il 10 e il 30% hanno sperimentato forme di long covid le cui cause sono sconosciute. Due i dati rilevanti: la maggior durata dell’infezione aumenta la probabilità che si manifesti il long covid; questa durata è sostanzialmente minore nei soggetti vaccinati.

Potenziare la campagna vaccinale è fondamentale anche al fine di prevenire il sovraccarico delle strutture sanitarie al collasso. “La sanità pubblica è come la salute: ti accorgi che esiste solo quando l’hai perduta”, recita lo slogan del Piano di Rilancio per risollevare le sorti del sistema sanitario, “Salviamo il nostro SSN”, promosso dalla Fondazione Gimbe. Il segretario nazionale di ANAAO Assomed, Pierino Di Silverio, ha definito la Legge di Bilancio 2024 una “manovra killer” per la sanità pubblica: al fabbisogno sanitario nazionale verranno destinati 3 miliardi, dei quali ben 2400 milioni serviranno ai doverosi rinnovi dei contratti del personale; dei residui 600 milioni, una cospicua parte è destinata alle strutture private anziché al alle nuove assunzioni nel SSN, che versa in grave crisi di professionisti, di prestazioni e di servizi.

Il vaccino, aggiornato contro le varianti Xbb circolanti di Omicron, continua comunque a essere somministrato gratuitamente a tutti cittadini; l’offerta viene principalmente rivolta ai soggetti fragili e agli anziani, la cui salute è a rischio.

L’attenzione è scemata, il Covid no. Quali sono i nuovi sintomi? E quando è necessario sottoporsi a tampone? Il direttore medico sanitario dell’IRCCS di Rozzano, Michele la Gioia, ha chiarito che i sintomi sono cambiati rispetto a perdita, diminuzione, alterazione di olfatto e gusto che caratterizzavano l’inizio della pandemia.

Adesso “il virus comporta febbre, tosse secca, difficoltà respiratorie, naso che cola, congestione nasale, mal di gola, mal di testa, voce rauca e dolori muscolari e articolari”. In presenza di questi sintomi, è opportuno sottoporsi a tampone, antigenico oppure molecolare, e, sebbene non sia più tenuto all’isolamento, in caso di positività il paziente dovrebbe restare a casa. L’unica difesa rimane la prevenzione: non abbassare la guardia rispetto alle misure di igiene, evitare le occasioni di contagio, e utilizzare una mascherina FFP2 quando si è in luoghi pubblici e affollati.

Una mascherina addosso. Tutti l’abbiamo; pur se non usata, conservata come “oggetto feticcio” del tempo del dramma collettivo. Ci ricorda dei mutati progetti di vita durante l’emergenza pandemica, di quando, isolati e sostanzialmente ridimensionati rispetto allo stare al mondo, i più manifestavano insofferenza, mentre la tribù minoritaria dei riflessivi recuperava un’altra maschera da accostare al volto, per ore, per giorni. Il libro. Lo strumento.

Perché, diciamolo, occorrerebbe anche un percorso parallelo a quello della prevenzione materiale: una gara virtuosa tra politica e istituzioni sanitarie per veicolare nozioni utili ma anche idee innovative, per convergere verso una corretta informazione che illumini il buio della mente e si faccia largo nella congerie di news, molto spesso fake; meno news e più sapere, ecco il vero antidoto all’incoscienza, all’ignoranza, in due parole, al tempo presente.

Inseguendo il prodigio, gli scienziati hanno studiato per vincere il morbo. Abbiamo preteso miracoli; l’abbiamo scampata. E ora, usiamo la rimozione come antidoto perché il presente non ci piace. Ma quel passato che tanti lutti ha provocato, è troppo recente per essere rimosso; ha instaurato, volenti o nolenti che siamo, un cambiamento, dallo stadio edonistico nel quale i grandi disastri toccavano sempre gli altri senza infrangere il nostro benessere occidentale, alla presa di coscienza della estrema fragilità dell’uomo e dell’ecosistema; dall’indifferenza alla responsabilità; un Aut-Aut, per dirla con Kierkegaard, che ci dovrebbe infine aver condotto a una nuova, consapevole visione. Quanto allo scardinamento progressivo di un sistema sanitario tra i migliori al mondo… beh, questa è un’altra, dolorosa, storia.


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