L'acqua e la legge della demagogia| Cronaca di una morte annunciata - Live Sicilia

L’acqua e la legge della demagogia| Cronaca di una morte annunciata

L'assessore Contrafatto mise in guardia sull'incostituzionalità. L'Ars e Crocetta tirarono dritto.

L'ultimo pasticcio
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PALERMO – Quella della riforma dell’acqua è la cronaca di una morte annunciata. La legge pasticcio votata dall’Ars è stata fatta a pezzi ieri dalla Corte costituzionale. Ma nessuno è rimasto sorpreso. Nemmeno la Regione.

Sì, perché quando due anni fa l’Assemblea regionale siciliana votò la legge dal sapore vagamente castrista, che sognava gestione diretta dei Comuni, tariffe calmierate a altre iniziative che tenevano lontano i privati dalle condotte, contro il dettame della normativa nazionale, l’assessore al ramo Vania Contrafatto, inascoltata Cassandra, aveva messo in guardia invano i deputati. Parlando apertamente di “legge incostituzionale”. Erano i giorni dello scontro interno al Partito democratico, con l’ala sinistra capitanata da Antonello Cracolici che dava battaglia in Aula, in prima linea Giovanni Panepinto (che oggi ritiene che la Corte abbia calpestato l’autonomia e le prerogative statutarie), nel nome dell’“acqua pubblica”.

Un pastrocchio ideologico figlio di un equivoco di fondo, cioè confondere l’acqua con le condotte. La prima è pubblica, in Sicilia come in tutta Italia, ma la gestione del servizio idrico, spiegava già nell’estate del 2015 l’assessore magistrato “è un’altra cosa ed è regolata dalle norme comunitarie”. Erano i tempi in cui Contrafatto sosteneva che la Regione si stesse assumendo prerogative non sue escludendo a priori i privati dalla gestione contro le norme comunitarie e statali. La Consulta in effetti l’ha letta allo stesso modo, distruggendo la legge regionale al termine del giudizio nel quale la Sicilia non ha neanche tentato di resistere, considerando la partita persa in partenza. E pensare che quando all’Ars qualcuno propose l’eccezione di incostituzionalità, un fronte trasversale con dentro pure i grillini si stracciò le vesti gridando allo scandalo.

Tra le parti bocciate dalla Corte costituzionale la norma che riduceva drasticamente la durata delle concessioni ai privati, quella che affidava alla giunta la possibilità di incidere sulle tariffe e l’affidamento delle reti agli enti locali. In sostanza tutto l’armamentario che già all’epoca Contrafatto e i renziani, tacciati più o meno apertamente di voler fare il gioco di affaristi e speculatori. “L’Ars a volte è un soviet. Se penso alla legge sull’acqua, ad esempio, gli imprenditori che vogliono investire nel settore idrico lo possono fare solo per nove anni”, commentava Davide Faraone un anno fa. Come il suo assessore faceva l’anno prima. Crocetta e l’Ars non se ne curarono. “Quando si vuole si può”, gongolò soddisfatto il governatore l’approvazione della legge. E pastrocchio ideologico fu. Con due anni persi aspettando la morte annunciata alla Consulta. Intanto, Contrafatto presentò una legge riparatrice. Che da agosto scorso ammuffisce attendendo ancora il via libera della giunta. Chissà che adesso, dopo la mannaia della Corte, non siano maturi i tempi per tirarla fuori dai cassetti.

 


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