Vi raccontiamo gli accadimenti delle ultime ore in forma di commedia: o di tragedia, fate voi. Alcuni passaggi sono romanzati, chiaramente inventati di sana pianta. Altri sono frammenti di cose vere. La differenza non conta troppo. Perché in Sicilia la verità è solo l’ultimo capitolo di una commedia, o di una tragedia. Più spesso, la messinscena di una farsa. E il mattatore indiscusso ha sempre il volto di Rosario Crocetta, col sottofondo di un’intercettazione che, secondo la Procura di Palermo, non c’è mai stata. E’ lui il pezzo forte del cartellone. Saro, attor comico o attor tragico? Ecco il dilemma che ruota intorno a un personaggio pubblico che tutti i panni indossa, fuorché quelli a misura di presidente di Regione. Ecco, dunque, la storia in tre atti.
ATTO PRIMO
Scena prima. Un tranquillo giorno di Crocettismo, in Sicilia. Uno di quei giorni in cui ti svegli di malumore e ti vai a coricare disperato. Niente di nuovo, parrebbe. A bruciapelo, il settimanale ‘L’Espresso’ lancia il suo scoop. Ci sarebbe un’intercettazione a carico di Crocetta Rosario, presidente della Regione, e di Tutino Matteo, medico e primario, inguaiato di suo, per una vicenda penale ancora in divenire. I due sarebbero stati colti al telefono. E il Tutino avrebbe detto al Crocetta: “Va fermata, fatta fuori come suo padre”. Il convitato di pietra della presunta conversazione sarebbe Lucia Borsellino, già assessore dimissionario alla Sanità, figlia di Paolo, il cui martirio ricorre domenica.
Scena seconda. Da qualche parte, nella sala dei Gigli di Palazzo Chigi, Matteo Renzi sta dormendo, vegliato dal poster di Gabriel Omar Batistuta al capezzale. Una fantesca lo sveglia di soprassalto: “Presidente, presidente!”. “Che c’è? Ancora quei rompicoglioni dei siciliani, ma non ci aveva già pensato Delrio?”. “Presidente, presidenteeeee”. E gli mettono in mano l’anticipazione espressa, col caffè. Matteo R. è uomo d’azione, non a caso è stato colonnello dei boy scout, dunque capisce l’importanza di una immediata telefonata a Lucia Borsellino. Si fionda alla cornetta, compone il numero per esprimerle solidarietà. “A lei questa mattina, sottolineano fonti di Palazzo Chigi, il premier ha fatto la prima telefonata della giornata”, riporta l’Ansa. La chiamata del premier è un colpo simbolico di Durlindana sulla capoccia di Saro, il feroce saracino. Vuoi vedere – si fregano le mani i renziani di tutto il mondo – che stavolta ce lo leviamo di torno?
Scena terza. Nel ventre del potere siciliano, del sottogoverno e delle periferie affini, si verifica un gigantesco sommovimento gastrico. Capita la mala parata, tutti gli aficionados di Saro staccano, in contemporanea, la sua foto con dedica dal muro della stanza da pranzo e attaccano il mega-poster di Paolo Borsellino, già tirato fuori dall’armadio per l’incombente diciannove luglio. Sui social fioccano migliaia di scatti a tema ‘Borsellino’. La più gettonata: Paolo con Lucia, Lucia con Paolo. Ma ci sono anche Agnese, gli uomini della scorta, il fumo nero di via D’Amelio. Più difficile rintracciare l’effigie di Manfredi Borsellino, fratello di Lucia, commissario di polizia e ragazzo riservato. Fiammetta, l’altra sorella, è introvabile. Cade a piombo la sofferta e dignitosa dichiarazione di Lucia Borsellino: “Provo vergogna per loro”. Il momento di tensione è troppo alto e quasi riduce in pezzi la trama, bisognerebbe smorzarlo. Espediente del regista: entra un giovanotto e pronuncia la battuta: “Stiamo approfondendo la questione”, è Fausto Raciti, segretario regionale del Pd.
Scena quarta, scena madre. Irrompe Saro Crocetta da Gela, declamando la sua parte a raffica. Piange a dirotto, smozzicando i concetti: “Non ho sentito la frase su Lucia, forse c’era zona d’ombra, non so spiegarlo; tant’è che io al telefono non replico. Ora mi sento male. Se avessi sentito quella frase, non so… avrei provato a raggiungere Tutino per massacrarlo di botte”. Trovata geniale per ispirazione: ma ve l’immaginate Saro che picchia il ben impostato Matteo T.? Fibrillazione tra le file del pubblico. In sala si torna col pensiero a ‘Buttanissima Sicilia’, per la penna di Pietrangelo Buttafuoco e la regia di Giuseppe Sottile andata in scena ovunque con quell’attore (vero) e ineguagliabile che risponde al nome di Salvo Piparo. Allora tutti pensarono che fosse una pièce divertente, emozionante, ma forse un po’ troppo paradossale. Ora si ritrovano spiazzati, annotando che la realtà può ben essere più surreale di qualsiasi paradosso. “Voglio andare alla Madonna del Carmelo. Voglio portarle un mazzo di fiori e pregare per ringraziarla”. Con un guizzo alla Mario Merola, quello dello Zappatore che “nun sa scuorda ‘a mamma”, Saro chiude il suo intervento. Sipario.
ATTO SECONDO
Scena prima. Rientra il giovane Raciti: “Stiamo approfondendo la questione”. Qualche fischio del pubblico che vorrebbe il sangue. Ma si capisce che è un altro espediente del regista, a corredo della Grande Rivelazione. Ecco, al centro del palcoscenico, la figura di un uomo quieto, moderato: Franco Lo Voi, Procuratore della Repubblica a Palermo. Ha con sé un fogliettino. C’è scritto: “Ritengo necessario precisare che agli atti di questo ufficio non risulta trascritta alcuna telefonata tra il Tutino e il Crocetta del tenore sopra indicato. Analogamente, i carabinieri del Nas, che hanno condotto le indagini nel suindicato procedimento, hanno escluso che una conversazione del suddetto tenore, tra i predetti, sia contenuta tra quelle registrate nel corso delle operazioni di intercettazione nei confronti del Tutino”.
Scena seconda. ‘L’Espresso’ “ribadisce quanto pubblicato. La conversazione intercettata tra il presidente della Regione siciliana Rosario Crocetta e il primario Matteo Tutino risale al 2013 e fa parte dei fascicoli segretati di uno dei tre filoni di indagine in corso sull’ospedale Villa Sofia di Palermo”.
Scena terza. La gente in platea si guarda in faccia: e ora? Che succede? Non entra nessuno. Non si vede più nessuno. Clamore di cembali e corni da dietro le quinte, irrompe nuovamente il mattatore, Rosario Crocetta: “Volevano ammazzarmi, cucirmi addosso il cappotto dell’indegno. Liquidarmi politicamente. Forse ci sono riusciti. Il motivo? La mafia. Le mie caratteristiche, benché venga sistematicamente spernacchiato, danno fastidio. Un antimafioso come me è geneticamente fuori dall’ordine costituito”. Sospiro di sollievo. E’ sempre lui, spiccicato, uguale al suo personaggio. E’ sempre lui, col suo sventolio di morte: vogliono ammazzarlo. Non è che sia inadeguato, politicamente impresentabile, presidenzialmente inadatto… No, no e no. Sono gli altri, mafiosi e muniti di coppola d’ordinanza che gli danno sempre e comunque la caccia. Ma chi potrebbe mai essere intimorito da questa antimafia da operetta. Chi potrebbe mai temere gli effetti di un’esperienza di governo che somiglia sempre di più a una macchietta?
Scena terza bis. Il monologo crocettiano è un flusso di coscienza continuo. “Questo è il massacro di un uomo, ho pensato anche di farla finita, è stato il giorno più brutto della mia vita…. Sono vittima di un gioco volgare che mi sporca, mi offende, mi distrugge. Un dossieraggio. Io non ne posso più. Di che cosa mi ritengono colpevole? Di volere cacciare via il malaffare da questa Regione per decenni nelle mani dei suoi aguzzini? Posso dare le dimissioni anche lunedì” (risatine dal fondo della sala).
Scena quarta. Conferenza stampa del Pd che, solo pochi giorni fa, ha “accettato la sfida di governo”, insediando un suo uomo con splendido senso del tempismo: Baldo Gucciardi alla Sanità al posto di Lucia Borsellino. Dichiarazione di Raciti: “Andiamo avanti con Crocetta”. Sipario.
ATTO TERZO
Caro Saro, l’atto terzo non c’è, si deve ancora scrivere. E non c’è, al momento, l’intercettazione dello scandalo, secondo il comunicato della Procura. Nessuno merita la crocifissione in base a un’accusa seguita da una smentita ufficiale. Abbiamo colto – in tanto cabaret – il tono sincero della tua accorata doglianza che merita rispetto umano. Ma guardati intorno: c’è una terra devastata. Dove tutti piangono. Piange la memoria martoriata di Paolo Borsellino. Piangono i suoi onesti figli. Piangono i siciliani al cospetto dello scempio che hanno sotto gli occhi. Altro che Buttanissima. Questa Sicilia è un deserto di lacrime.