L'affare dei termovalorizzatori| Indagine archiviata e prescritta - Live Sicilia

L’affare dei termovalorizzatori| Indagine archiviata e prescritta

Niente prove per le mazzette. Sulla turbativa d'asta non c'è più tempo per un eventuale processo.

PALERMO – Sui termovalorizzatori si è indagato per sei anni, a partire dal 2010, ma i fatti sono datati e non c’è più tempo per arrivare ad uno sbocco processuale. O meglio, l’ipotesi di corruzione è stata archiviata nel merito. Su quella di turbativa d’asta ha pesato la prescrizione. C’era in ballo anche l’aggravante dell’articolo 7, quella prevista quando c’è di mezzo la mafia, che però non ha passato il vaglio del giudice che ha chiuso il caso. Il cuore di un’indagine, che resta ancora blindata nonostante l’archiviazione, emerge dalla relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti.

Tutto inizia nel 2003 quando Totò Cuffaro, allora governatore e commissario per l’emergenza rifiuti – il suo vice era Felice Crosta – sulla base di gare bandite l’anno prima, aggiudica a quattro società consortili la convenzione ventennale per il trattamento dei rifiuti. Un affare da diversi miliardi di euro che prevede la costruzione di quattro termovalorizzatori a Palermo, Augusta, Casteltermini e Paternò. Si formano quattro Ati costituite da Elettroambiente, Enel produzione, Emit, Amia, Catanzaro Costruzioni; Falk, Actelios, Amia, Emit, Consorzio Asi Palermo, Aser, Gecopre e Safab; Dgi Daneco, Waste Italia, Siemens, Technip Italy, Db group, Altecoen; Elettroambiente, Enel produzione Altecoen tecnoservizi ambientali, Pannelli impianti ecologici. Nel luglio 2007 la procedura viene annullata da una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Il bando non è stato correttamente pubblicizzato, serviva cioè maggiore trasparenza. L’Agenzia Regionale Rifiuti e Acqua risolve i contratti. Gli originari affidatari – vale a dire le società consortili Sicilpower, Tifeo Ambiente, Palermo Energia Ambiente, Platani Energia Ambiente – non ci stanno e vanno alla guerra dei contenziosi. Nel 2009, nel frattempo presidente della Regione viene eletto Raffaele Lombardo, si riparte prima con una gara e poi con una procedura negoziata. Entrambe si chiudono con un nulla di fatto. Nel 2010 arriva il decreto con cui il governo Lombardo annulla l’intera procedura, sollevando due questioni: l’illecito collegamento tra i raggruppamenti volto ad alterare la concorrenza e il rischio di infiltrazioni mafiose.

Nel 2013 il Tar, respingendo un ricorso contro l’annullamento del bando, parla di offerte preconfezionate “a tavolino” in accordo tra i diversi raggruppamenti. “Accordi illeciti”, scrivono i giudici parlando di “meccanismo anticoncorrenziale”: le proposte presentate dai vari raggruppamenti coprono, senza sovrapporsi e in maniera anomala, tutta l’Isola. Dopo l’annullamento il gruppo Falck chiede un risarcimento danni da 1,3 miliardi di euro. La Regione – nel frattempo il governatore diventa Rosario Crocetta e assessore all’energia l’ex pm Nicolò Marino (che nel 2013 rassegnerà i suoi dubbi ai pm) – si sente danneggiata per mezzo milione di euro. Alla fine la controversia si chiude con un accordo transattivo che non prevede esborsi a carico delle parti.

Ormai, però, al lavoro c’è la Procura della Repubblica. Nel 2010, infatti, Pier Carmelo Russo, assessore all’Energia del governo Lombardo, ha presentato un dossier alla magistratura. E lo stesso anno in cui si attiva anche la Commissione parlamentare. I pubblici ministeri Leonardo Agueci, Sergio Demontis, Francesco Del Bene e Antonino Di Matteo ipotizzano i reati di abuso di ufficio, corruzione e turbata libertà degli incanti aggravate dall’articolo 7. Una quarantina di persone, fra politici, amministratori e imprenditori, finiscono nel registro degli indagati. I pm si chiedono perché mai il presunto “accordo di cartello”, quello descritto anche dai giudici amministrativi, “non abbia incontrato nel suo divenire, nella sua storia, alcun ostacolo da parte di esponenti dei pubblici uffici, pubblici ufficiali, commissari straordinari, vicecommissari straordinari, componenti di commissione e altro”.

Forse perché erano state pagate tangenti? ”Trovarsi di fronte a una così macroscopica violazione delle regole e pensare che nessuno se ne fosse accorto, collide con la logica, con il buonsenso. Sono state fatte tante indagini, anche di natura bancaria, anche qualche rogatoria”. Alla fine, però, come racconta il pm Demontis in Commissione: “A questo riguardo sono emersi oggettivamente una serie di sintomi che ci hanno fatto capire che tanto non è andato per il verso giusto, però non sotto il profilo della corresponsione di somme di denaro, tant’è che la richiesta di archiviazione sotto il profilo dell’ipotizzato reato di corruzione viene formulata per insussistenza del fatto”. Niente prove, dunque, per la corruzione.

Diverso il caso dell’ipotesi della turbativa d’asta che lo stesso pm definisce “certamente configurabile”. E spiega: “Tra i soggetti che sono stati iscritti nel registro degli indagati vi sono anche i componenti della commissione di esperti che doveva valutare l’operato dei raggruppamenti temporanei di imprese che si erano aggiudicati l’appalto. Così, per esempio, è venuto fuori che alcuni di loro versavano in una situazione di incompatibilità, nel senso che avevano dei rapporti sostanzialmente di consulenza con delle società che a loro volta erano interessate alla realizzazione dei termovalorizzatori in Sicilia”.

L’inchiesta, però, è partita quando ormai erano passarti degli anni. Ed è stata un’inchiesta complessa. Impossibile, sottolinea la commissione, giungere ad una conclusione prima che scattasse la prescrizione. La politica, però, avrebbe potuto fare la sua parte

 

 


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