“Arrivate all’onorevole Violante e io vi aiuto”. Un mese dopo la strage di via d’Amelio la Trattativa riparte. Adesso però Riina non è più destinatario dei messaggi dei carabinieri. Adesso è l’obbiettivo dei carabinieri. Lo capisce anche don Vito, che però chiede a Mori e De Donno di coprirsi con Violante, considerato da lui l’uomo che “teneva in mano la magistratura”. A questo punto i patti sono chiari: Don Vito e Provenzano faranno arrestare Riina, e in cambio sarà riconosciuta l’impunità a Provenzano, a patto che inabissi Cosa Nostra, ricostituendo l’equilibrio precedente alle stragi.
Nell’ottobre del 1992 Mori incontra Violante: “Ciancimino vuole incontrarla in forma riservata, potrebbe dire delle cose molto importanti”. Violante però si rifiuta di sentirlo in forma riservata “che venga in commissione antimafia” dice. Nello stesso periodo De Donno fa avere a don Vito cartine geografiche di Palermo, tabulati di utenze telefoniche, del gas, della luce: sono gli stessi che Ciancimino farà avere a Provenzano, che a sua volta indicherà con un pennarello il covo di Riina.
12 dicembre del 1992 esce un articolo sul Corriere della Sera, intitolato “Riina è alle corde, Mancino giura: prenderemo il boss”. Due giorni Panorama pubblica un articolo in cui si legge che : “il patrimonio di Vito Ciancimino sarebbe lecito e quindi in fase di dissequestro”. Sembra che stia andando tutto per il meglio: don Vito chiede quindi il passaporto. Il 20 dicembre però viene arrestato. Nonostante tutto poco prima di Natale Massimo Ciancimino consegna a De Donno le mappe con le indicazioni per arrivare al covo di Riina.
Il 10 gennaio alla domanda di un giornalista il ministro dell’Interno Mancino dichiara: “non si preoccupi prendiamo Riina”.
Cinque giorni dopo il capito Ultimo arresta Riina a poche decine di metri dal suo covo. La villetta che ospitava la famiglia Riina però non verrà perquisita per giorni. Il capo dei capi viene arrestato all’insaputa del ministro dell’Interno Mancino, che pure nei giorni precedenti non aveva parlato d’altro. “L’ho saputo da una telefonata del capo dello Stato, che si congratulava con me. E anche il presidente del consiglio non ne sapeva niente’’ dirà Mancino davanti il presidente della corte di assise di Firenze, che risponde: ‘’E’ formidabile’’.
“Sono stato scavalcato” dirà don Vito dal carcere.È a questo punto però che, secondo i pentiti spunta Marcello Dell’Utri come trait d’union tra mafia e Stato.
Intanto nel febbraio del ’93 Martelli è indagato per aver usato il conto “Protezione”. Il nuovo ministro della giustizia Giovanni Conso, viene scelto personalmente dal presidente Scalfaro. Che ne approfitta anche per fare fuori i vertiti del dipartimento amministrazione penitenziaria: al posto di Niccolò Amato, arrivano Adalberto Capriotti e Francesco Di Maggio. Quest’ultimo però non aveva i titoli per diventare vice capo del Dap, e Scalfaro deve nominarlo consigliere di Stato. Solo che dopo 20 anni non è ancora chiaro chi lo abbia scelto. E perché. “Di Maggio? era una persona che andava un po’ in televisione, diciamo così” spiegherà Conso ai magistrati palermitani. Che però non gli crederanno , indagandolo le false informazioni ai pm.