PALERMO – Esiste un modo per far sì che i siciliani rimangano nella propria terra e al contempo mantengano un impiego da tutt’altra parte? Dietro a questa domanda complicata ci sono l’illuminazione di una ricercatrice palermitana, circa venti ragazzi sui trent’anni d’età e – perché no – il coronavirus. Un mix di fattori che ha portato a una risposta decisa e coraggiosa, seppur ancora in divenire: la soluzione esisterebbe, e affonderebbe le sue radici nel progetto “South Working – Lavorare dal Sud”.
A spiegare l’idea è Mario Mirabile, palermitano di 26 anni, fuori dalla Sicilia ormai da otto e attualmente a Bologna, dove vive e lavora allo sviluppo urbano e alla trasformazione sociale nel Terzo settore; come altri ideatori del progetto, Mario fa parte del Global Shapers Palermo Hub, associazione nata qualche anno fa nel capoluogo dell’Isola per agire in campi trasversali come l’innovazione sociale e lo sviluppo sostenibile. “Il progetto – spiega – nasce grazie all’idea di Elena Militello, 27enne di Palermo che dieci anni fa è andata via dalla Sicilia e attualmente fa la ricercatrice all’università del Lussemburgo. Dopo essere tornata a casa per il lockdown ed essere stata due settimane in Sicilia, non voleva più lasciarla; allora ha sottoposto ad alcuni amici, fra cui me, un’idea per promuovere lo smart working al Sud e migliorarne le condizioni. Abbiamo immediatamente sposato l’idea, poi abbiamo pensato a creare un contesto rispondendo a determinate domande come: qual è la condizione italiana in tema di smart working? Noi come possiamo contribuire?”.
Il progetto pilota coinvolgerà i lavoratori a distanza che dividono la propria vita fra Palermo e Milano. Sebbene il nome e le dimensioni iniziali possano trarre in inganno, l’iniziativa non ha confini: “‘South Working’ è volto sì a promuovere il lavoro dal Sud, ma più in generale da dove si desidera – precisa Mario Mirabile –. Il progetto infatti è scalabile, può anche uscire dall’Italia ed essere applicato per esempio al Nord e al Sud d’Europa. Il nostro primo obiettivo, quello alla base, è una maggiore coesione sociale e territoriale. Ecco perché Elena ci dice sempre: ‘Il Sud è relativo, siamo tutti il Sud di qualcun altro’. Naturalmente non tutti i lavori si prestano a essere smart – osserva il 26enne palermitano – ma si possono immaginare ipotesi di contratto di lavoro permanente a distanza, così come in Italia esiste già dal 2017 una legge che inizia a regolare la disciplina. Tutto ciò evitando la fuga di cervelli e rendendo il Meridione attrattivo. Ecco a cosa stiamo lavorando, o comunque a cosa vorremmo contribuire nel nostro piccolo”.
I giovani ideatori del progetto parlano con cognizione di causa, avendo vissuto sulla propria pelle l’allontanamento da casa per realizzarsi: “Il ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano, a febbraio diceva che lo spopolamento incide al Sud più dell’immigrazione clandestina – considera Mario –. È vero, proprio noi dietro a questa idea oggi non saremmo qui se fossimo rimasti nelle nostre case con le nostre famiglie, ma oggi vorremmo quantomeno la possibilità di dire che lavoriamo dalla nostra terra. Il nostro obiettivo è stimolare la diversità, ma d’altronde nel nostro gruppo c’è di tutto: siamo ragazzi e ragazze, appartenenti ai Global Shapers e non, provenienti da diversi ambiti professionali, di studio e di ricerca. Questa diversità è la nostra arma vincente, sia perché ci confrontiamo mettendo insieme giuristi, esperti di politiche economiche, giovanili, del lavoro e così via, sia perché alla base c’è sempre una curiosità fondamentale”.
Secondo i dati dell’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano, nel 2019 i lavoratori smart italiani sono stati 570 mila. “E in un approfondimento su Oggi Scienza, la responsabile dell’organo sottolinea che si assiste a un aumento – sottolinea Mirabile –. Il che sembra confortante, ma l’Italia è comunque agli ultimi posti del ranking europeo. Ci siamo posti l’obiettivo di migliorare la situazione tenendo comunque conto di questo contesto, e già possiamo dire che il nostro traguardo iniziale di convogliare mille ‘south workers’ entro il 2020 ci sembra obsoleto: nel giro di poche settimane siamo già a circa tremila interazioni, fra la pagina Facebook del progetto che abbiamo creato da poco e le risposte a un primo questionario esplorativo e anonimo che abbiamo diffuso, ma siamo in continua crescita”.
Così i fondatori di “South Working – Lavorare dal Sud” iniziano a proiettarsi verso gli step successivi: Mirabile assicura che lui e i colleghi sono già all’ascolto di “esperti e lavoratori per confrontarci sulle difficoltà quotidiane. Un esempio? Capita che tornando al Sud non ci siano le infrastrutture, quindi noi di ‘South Working’ ci chiediamo come poter risolvere. In questo caso specifico, con una fondazione di origine bancaria stiamo cercando di trovare soluzioni per ridurre il digital divide in maniera analitica e trasparente”.
A giocare un ruolo fondamentale per il futuro di South Working sarà il dialogo. Che, a sentire Mario Mirabile, a Palermo non manca: “Il confronto con l’assessore alle Politiche giovanili, Paolo Petralia Camassa, è puntuale e continuo – dice –. Il Comune ha mostrato interesse, e sappiamo che la giunta sta rispettando gli ambiti di ogni soggetto sul territorio e valutando possibili soluzioni e intendimenti. Per esempio, dato che il nostro è un progetto no profit, uno dei nostri obiettivi è combattere certe condizioni del lavoro che non riteniamo all’altezza del 2020: su questo crediamo che la politica non possa non apprezzare un tentativo del genere, soprattutto da parte di giovani impegnati in prima linea. D’altronde l’Organizzazione internazionale del lavoro, in un report, sottolinea come i giovani siano in una condizione tanto delicata da poter parlare di una ‘generazione Covid’ vittima degli esiti della pandemia”.
Il progetto corre e la platea cresce a vista d’occhio, ma Elena, Mario e gli altri si sentono pronti alla sfida: “Siamo felici che si stia cominciando a parlare di noi in maniera trasversale – ammette il ‘bolognese d’adozione’ – perché vogliamo proprio creare un dibattito. Prossimamente stileremo una carta che raccoglie le visioni, i valori e i princìpi di ‘South Working’. Qualcosa che vada oltre le semplici presentazioni, che metteremo a punto per bene quando un po’ tutti noi ideatori saremo rientrati in Sicilia. È importante comunicare le cose, e bene, ma un aspetto doveroso è anche quello di fare un lavoro di qualità. Del resto – conclude – anche l’osservatorio del Politecnico evidenzia che viene confuso ‘smart’ con ‘veloce’, come a dire: dato che un lavoro è veloce, allora si può lavorare più del dovuto. Ecco perché procederemo facendo le cose come devono essere fatte, con attenzione, ascoltando la comunità”.