Le contraddizioni di una Zes unica... “troppo speciale”

Le contraddizioni di una Zes unica che rischia di essere “troppo speciale”

A perderci è comunque sempre il Mezzogiorno

Speciale forse era troppo poco. E così hanno preferito aggiungere “unica”. Stiamo parlando delle ZES, le zone economiche speciali che la legge 123/2023 di conversione del Decreto Sud ha trasformato in “unica”. Ed in effetti, la Zona economica creata in Italia – che adesso è estesa a tutto il Mezzogiorno – è davvero unica. In tutto il mondo tutte le esperienze internazionali di ZES di successo, Cina e Polonia tra tutte, fanno riferimento a “zone delimitate di territorio” nelle quali le imprese – già insediate o che si insediano – possono beneficiare di speciali agevolazioni. 

Una Zes da 123 mila kmq

In Italia, invece, la ZES copre adesso un’area di 123.024 kmq, in cui vivono quasi 20 milioni di persone.  Una definizione ‘estesa’ che va in contraddizione con l’obiettivo della ZES che è quello di attrarre nuovi investimenti, soprattutto non locali, su “precise aree” ad alto valore aggiunto al fine di creare le condizioni per uno sviluppo del territorio. E non è solo un problema di dimensioni ma di programmazione. Il valore delle ZES è difatti realizzabile solo laddove sono inserite in una più ampia politica industriale nazionale di potenziamento e ampliamento del tessuto produttivo. E non, come sta accadendo, un regime di aiuto indifferenziato senza una vera strategia di sviluppo nazionale a supportarne l’attuazione.

Il progetto originario delle Zes

Non serve centralizzare a Roma la cabine di regia delle ZES per attirare investimenti. Lo diceva già negli anni ‘70 Piersanti Mattarella. In Italia le ZES istituite nel 2017 (e richiamate nel Piano Strategico Sud 2030) erano state pensate localizzate nelle aree cosiddette retroportuali, ovvero quelle zone ad alto potenziale di sviluppo industriale, favorite per le opportunità derivanti dai volumi internazionali di traffico merci (in crescita) e per i sistemi di produzione, logistica e di interscambio connessi a questi. 

In fase di attuazione erano poi state creare otto ZES ‘allargate’, includendo anche porzioni di territori non sempre strettamente connesse ai porti ma che permettevano di collegare questi con le aree di insediamento industriale. Restava comunque il carattere ‘speciale’ delle zone economiche che potevano usufruire delle semplificazioni previste dal D.L. 91/2017, relative alle conferenze di servizi, alle valutazioni ambientali, alle autorizzazioni edilizie, e soprattutto alle concessioni portuali. Le otto Zes avevano implementato specifici sportelli unici per il rilascio delle autorizzazioni uniche che rappresentavano l’interfaccia unica con le imprese e con gli enti preposti. 

Le risorse “congelate”

Per rafforzare le ZES, il Pnrr aveva quindi destinato 630 milioni ad interventi infrastrutturali relativi proprio ad attrezzare le aree e connetterle con i principali assi di collegamento. Risorse adesso ‘congelate’ dalla revisione approvata dal Governo nazionale. Se guardiamo alla Sicilia, una delle principali criticità – se non la più rilevante – è sempre stata quella relativa alla indisponibilità di nuovi spazi (anche per mancanza dei piani di sviluppo delle vecchie ASI). E alla lungaggine relativa alle eventuali varianti urbanistiche necessarie. Dopo il primo periodo di rodaggio, le due ZES (Sicilia occidentale e Sicilia orientale) stavano cominciando ad incrementare il ritmo di rilascio delle autorizzazioni uniche, seppure restava in taluni casi il problema della sovrapposizione con gli sportelli comunali a ritardare i tempi di rilascio. Ma erano temi su cui i due Commissari stavano lavorando.

L’inversione di rotta decisa a Roma

Alla ZES Sicilia Occidentale affidata ad uno stimato professore quale è senza alcun dubbio Carlo Amenta era stato affidato dal Comune di Palermo anche il difficile compito di realizzare l’intervento di recupero della Costa Sud, con l‘arduo compito di completare l’opera nella tempistica prevista dal Pnrr. Ma da Roma hanno deciso di invertire la rotta.

E cosi siamo ora in attesa di capire l’operatività della struttura centralizzata prevista dal governo nazionale (di cui per ora sono solo stati nominati i vertici) e l’impatto in termini di sviluppo e crescita del Mezzogiorno. Ma anche di conoscere la reazione di Bruxelles sul nuovo regime di aiuto varato dal governo nazionale e che ora si applica a tutto il Sud. Regime di aiuto che dovrà essere notificato a Bruxelles perché possa essere applicabile (e forse questo è il motivo per cui non è stato ancora reso operativo, malgrado fosse stato annunciato per la fine del 2023 ed in teoria valido sin dal 1 gennaio 2024). 

Risorse insufficienti per il Sud

Ma c’è un altro problema, non irrilevante. Basteranno le risorse stanziate dal governo nazionale?  Con la legge di bilancio sono stati destinati al credito di imposta per il solo 2024 1,8 miliardi. Di gran lunga inferiore a quei 4,5 miliardi di cui si era parlato a settembre. E non è ancora stato pubblicato il decreto attuativo che detta le regole di accesso all’agevolazione: non si sa quindi nemmeno se saranno destinati genericamente a tutti i “codici Ateco” e quali saranno i criteri di scelta. Cosa che fa ipotizzare che le risorse sinora stanziate potrebbero essere insufficienti per rispondere alle necessità di un’area così vasta come il Mezzogiorno. 

Cosa accadrà dal 2025 in poi?

E soprattutto non si ha alcuna notizia di cosa accadrà dal 2025 in poi. Eppure lo sappiamo bene, per attrarre investitori in un’area e spingerli a fare investimenti ed assumere personale non è sufficiente prevedere un incentivo, è strettamente necessario che lo stesso sia previsto per un arco temporale congruo con i business plan imprenditoriali. La partenza della ZES unica a questo punto ci appare davvero in salita. Tanto è vero che anche gli otto commissari Zes che erano stati sostituiti – a far data dall’1 gennaio 2024 – dalla nuova struttura di missione romana, sono stati prorogati per due mesi. A loro il compito di tenere a bada la platea degli investitori che bussano alla porta frementi di localizzare i loro investimenti nella “zona unica”, in attesa del decreto che dovrà fare chiarezza sulle regole.


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