Le divisioni nel clan, la corsa clandestina e la sparatoria nella stalla

Le divisioni nel clan, la corsa clandestina e la sparatoria nella stalla

I risvolti dell'inchiesta "Locu"

CATANIA – “Dopo i fatti accaduti l’8 agosto 2020 si crearono non pochi allontanamenti all’interno stesso del clan, molti criticavano il Cappello per come erano andate le cose, e così si crearono dei gruppi all’interno del clan stesso. Uno quello mio, cioè del Cappello, uno del Ferrara e dei fratelli Distefano, e uno del Viglianesi, con il Lombardo, che con la forza economica che si era creato e avvalendosi della caratura del padre aveva iniziato a crearsi un suo spazio all’interno del clan. Con l’arresto del Cappello mi sono avvicinato a Ferrara e ai Distefano e si sono venuti a creare dei gruppi anche con l’uscita di alcune persone. Uno Ferrara e i Distefano, uno quello di Viglianesi, uno quello di Michele Cardunaro, uno quello dei Carateddi con Piero Pumaroru e Concetto, uno quello di Giampiero Salvo, uno quello degli Strano di Monte Po”.

Le parole del collaboratore di giustizia, Carmelo Liistro, sono lo spaccato rispetto al ruolo di Rocco Ferrara “uno degli organizzatori dei fatti dell’8 agosto 2020” nel blitz che all’alba di martedì ha visto oltre 300 poliziotti incidere una netta sferzata al clan “Cappello-Bonaccorsi” per quanto concerne la gestione delle piazze di spaccio a San Cristoforo.

Il summit

Ma c’è un episodio successivo al duplice omicidio di Librino.
Ed è di quelli significativi anche ai fini della contestazione di associazione mafiosa. È la partecipazione di Rocco Ferrara e di Giovanni Agatino Distefano al summit consecutivo alla sparatoria verificatasi il 18 luglio del 2021, nella quale Giovanni Pantellaro detto “giocattolo” feriva Daniele Termini e Giuseppe Condorelli. Si tratta di un episodio carpito attraverso le intercettazioni.

La corsa clandestina

Alle prime ore del mattino della data incriminata, lungo la Strada Provinciale 104 nei pressi della base militare statunitense di Sigonella, in un tratto convenzionalmente chiamato nell’ambiente criminale “avvuliddi”, si svolge una corsa di cavalli clandestina in cui si sfidavano la scuderia di via Testulla n. 61 della famiglia Di Mauro, nota come “scuderia Pierino”, e la scuderia di Cortile Doberdò di Angelo Ragonese.

Al termine della corsa clandestina, al momento dell’arrivo dei due fantini, esplode una controversia tra gli sfidanti ed i rispettivi sostenitori in merito a quale delle due scuderie si fosse aggiudicata la vittoria e potesse accaparrarsi l’ingente somma di denaro spettante al vincitore: migliaia e migliaia di euro.

La sparatoria alla stalla

Una bagarre che innesca una serie di accesi litigi tra gli esponenti delle due scuderie in gara, poi degenerati in una sparatoria avvenuta, anche alla presenza di minori, alla stalla di Angelo Raganose, che si trova al Cortile Doberdò di Catania: è lì che l’ex collaboratore di giustizia Giovanni Pantellaro avrebbe esploso diversi colpi di pistola ferendo il 38enne Daniele Termini al piede destro ed al ginocchio sinistro ed il 42enne Condorelli Giuseppe alla coscia sinistra.

“Siamo dello stesso colore”

Come precisato dall’arrestato nel blitz “Locu”, Biagio Querulo durante la conversazione con i membri della famiglia Tomaselli, i soggetti contrapposti nella lite poi degenerata nella sparatoria erano “tutti dello stesso colore”, ovvero tutti appartenenti o comunque contigui al clan Cappello-Bonaccorsi: “Uno dei fratelli Tomaselli, commentando negativamente li comportamento di Salvatore Marino “cià cià”, dice “con quale coraggio va all’appuntamento con “Pierino”? …ci sarebbe dovuto andare solo..dato che ha a suo zio Filippo che è da questa parte? non si rende conto?”.

Dopo la sparatoria, per chiudere la controversia, interverranno diversi vari soggetti di rango del clan Cappello-Bonaccorsi come Pietro Guerrera “Piero pummaroru”, Rocco Ferrara (per l’appunto) Giovanni Agatino Distefano “Giuvanneddu cammisa”, Michele Vinciguerra “u cardunaru”, Domenico Querulo e persino Girolamo Gino Ragonese inteso “Gino u biundu” che dalla Casa di Reclusione di San Gimignano contattava telefonicamente Domenico Querulo per discutere del grave episodio che aveva visto il coinvolgimento diretto di suo figlio Angelo Ragonese.


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