Oggi sul ‘Corriere’, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella – intervistato da Marzio Breda – offre il catalogo dei suoi libri preferiti, da centellinare per le vacanze. “Ne ho preparati diversi, di vario genere, da mettere in valigia… Narrativa, storia, saggistica – dice il Presidente -. Tra gli altri ‘Il tempo migliore della nostra vita’, di Antonio Scurati, e ‘Possa il mio sangue servire’, di Aldo Cazzullo. E poi l’ultima fatica da biblista di Enzo Bianchi, ‘Raccontare l’amore’”.
E ancora: “La mia formazione si richiama a quel filone che potrebbe essere definito montiniano… ‘Umanesimo integrale’ di Jacques Maritain è il testo che, tutt’ora, ritengo mi abbia maggiormente influenzato rispetto al senso della vita e della responsabilità personale. Ma da giovane ho letto molto… Da Fedor Dostoevskij ad Aleksandr Solzenicyn, da William Somerset Maugham a Paul Claudel, da Thomas Eliot a Ignazio Silone, da Benedetto Croce a Romano Guardini, dai libri di storia di Winston Churchill e di Luigi Salvatorelli a tanti altri”.
Si tratta appena di un gioco estivo sulla lettura e sulla memoria, una piuma lieve lieve a cui non dare un peso maggiore della sua leggerezza. Ma verrebbe da dire, peccato!, distinguendo tra peccati veniali e letterariamente più significativi. Quelli veniali sono le letture-spray di autori che scrivono parole – non certo Dostoevskij – consone ai tempi: spuma rinfrescante di concetti basici. Tutti possiamo leggere i loro libri e sentirci un po’ più intelligenti, anche se non lo siamo. Ma il peccatuccio sommo che – pur nella levità – risalta è l’assenza di grandi autori siciliani per nascita o adozione. Non ci sono – per dire – né De Roberto, né Tomasi di Lampedusa, che tracciarono il perimetro della sicula città del sole e delle lettere. E non c’è Sciascia. Non c’è Il giorno della Civetta, col profilo irridente e terribile di don Mariano Arena. Non c’è il fracappellano Vella, con le sue astuzie di arabi e di biancomangiare, all’ombra della grande impostura de Il Consiglio d’Egitto.
Una dimenticanza, probabilmente. E poi i gusti sono gusti. O forse un tic rivelatore, il bisogno di non farsi riconoscere dai forestieri, il vezzo di non mostrare mai l’accento della calia e della semenza. E però non basta come alibi. Fu proprio Sciascia a scriverlo, tenendo presente l’accento: “Come si può non essere siciliani?”.