Le rotazioni di Crocetta? | Un passo avanti... e due indietro - Live Sicilia

Le rotazioni di Crocetta? | Un passo avanti… e due indietro

Il politico che firma con uno pseudonimo sul nostro quotidiano commenta le ultime mosse del governatore: "Il modello in cui il politico decide, con arbitrio e senza garanzie, dell'organizzazione della burocrazia fa tornare indietro la Regione".

La riflessione
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PALERMOSalvo Toscano, con consueta efficacia, ricostruisce le ultime iniziative del Governo Crocetta relative ai trasferimenti in massa nella burocrazia regionale definendole: “un passo avanti verso una Regione normale”.

Una premessa: che la rotazione sia un principio sacrosanto per un’amministrazione efficiente e volta ad evitare incrostazioni in una burocrazia anchilosata e’ dato assodato.

Ed in questa linea si colloca la norma (approvata nella scorsa legislatura, su iniziativa del Governo regionale) che prevede che i dipendenti dell’amministrazione e degli enti regionali su richiesta del datore di lavoro “sono tenuti ad effettuare la prestazione in luogo di lavoro e sede diversi sulla base di motivate esigenze, tecniche, organizzative e produttive”, ma prevedendo – al fine di tutelare la trasparenza di questi percorsi – che tali decisioni siano assunte sulla base “di criteri generali, oggetto di informativa sindacale” (art. 11, terzo comma, l.r. 26/2012).

Ciò ha contribuito a superare rigidità ormai anacronistiche e solo siciliane.

Occorre, però, chiarire che le rotazioni di personale nell’amministrazione:

a) può indicarle, ma non gestirle direttamente, la politica;

b) devono svolgersi in termini generali (e non con ‘amici’ e ‘nemici’, ed ingiustificate eccezioni);

c) devono rispettare procedure e regole ben precise (a partire dalla predeterminazione dei parametri di riferimento);

d) se configurano illeciti, debbono dar luogo alla immediata individuazione dei responsabili ed all’avvio dei relativi procedimenti disciplinari.

Diversamente, sotto le mentite spoglie di una scelta di efficienza, si celano soltanto forme di grave ingerenza sul funzionamento della burocrazia, ingenerando il rischio di finalità clientelari (vedi le nomine pre-elettorali nella sanità). Un tempo il politico decideva non solo l’assunzione (‘privilegio’, a quanto pare, sin qui riservato in Sicilia alle società pubbliche), ma anche la progressione in carriera e le mansioni dei dipendenti dell’amministrazione.

Tuttavia, il modello piramidale di matrice weberiana subisce nel tempo profonde modifiche sino ad approdare, agli inizi degli anni ’90, a quella che, non senza enfasi, e’ stata definita la ‘privatizzazione’ del pubblico impiego. Il nuovo modello si incentra sulla distinzione tra poteri di indirizzo politico-amministrativo e successivo controllo sui risultati dell’attività amministrativa, assegnati agli organi politici, e funzioni di gestione attribuite alla competenza esclusiva dei dirigenti (ed alla loro conseguente responsabilità).

Una delle principali innovazioni della riforma dell’impiego nelle pubbliche amministrazioni e’ stata proprio l’attribuzione alla dirigenza pubblica dei “poteri del privato datore lavoro”, novità che costituisce, anche a livello simbolico, il passaggio della gestione dell’amministrazione dal livello politico a quello dirigenziale, al fine di garantire una gestione flessibile ed efficiente degli uffici e del personale. Conseguentemente i rapporti di lavoro individuale con le pubbliche amministrazioni vengono disciplinati dalle disposizioni del codice civile e dalle altre leggi sul rapporto subordinato nell’impresa.

Questa riforma giunge in Sicilia, tra ritardi e contraddizioni, solo nel 2000 con la legge n. 10, che, all’art. 2, limita le competenze del Presidente della Regione e degli Assessori soltanto alla “individuazione, sentiti i dirigenti generali, delle risorse umane, materiali ed economico-finanziarie da destinare alle diverse finalità e la loro ripartizione tra gli uffici di livello dirigenziale generale”. Per converso si attribuisce, invece, esclusivamente ai dirigenti l”organizzazione delle risorse umane”, con la cautela che le loro attribuzioni “possono essere derogate soltanto da specifiche disposizioni legislative” e vietando, a pena di nullità, agli organi politici di “annullare, revocare, riformare, riservare o avocare a sè o altrimenti adottare provvedimenti o atti di competenza dei dirigenti”.

Purtroppo, com’è noto, il modello della distinzione di funzioni tra politica ed amministrazione non ha funzionato a dovere, ed in Sicilia meno che in Italia. I dirigenti, a causa di carenze e lacune normative, ma anche per inadeguata cultura manageriale, hanno subito l’ingerenza strisciante della politica nell’assunzione delle decisioni gestionali; è del tutto mancata la fase di verifica e controllo sui risultati e la contrattazione collettiva ha eroso spazi di autonoma della dirigenza etc.

Occorre, quindi, un’innovativa riforma della burocrazia – già delineata nella scorsa legislatura dal Governo regionale, ma mai giunta ad approvazione – e questa è esigenza condivisa. Ma da qui ad arrivare ad azzerare le modifiche di questi anni e ritornare al modello nel quale il politico decide, con arbitrio e senza garanzie, dell’organizzazione e della gestione dell’intera struttura burocratica, ne corre.

Non una riforma, ma un’abusiva controriforma e’ in atto. In Sicilia, il politico di turno decide così, sotto l’egida di una ‘trasparente rotazione’, della struttura degli uffici, anche dei più piccoli, distribuendo, a suo esclusivo piacimento e senza individuazione e pubblicazione di criteri oggettivi, ruoli, benefici economici e responsabilità.

Una modalità operativa tutt’altro che “trasparente” che reintroduce nell’amministrazione regionale (facendole così fare …. due passi indietro) un’antica tendenza a trasformare il legame fiduciario in fidelizzazione, realizzando un’illegittima “invasione di campo”.

Peraltro, ricondurre questa plateale iniziativa all’esigenza di reagire a radicati fenomeni di corruzione, inefficienze, ritardi, senza indicarne puntualmente i responsabili ed avviare tempestivamente le azioni disciplinari, appare un mero esercizio declamatorio, con evidenti finalità di ingerenza politica sui più minuti meandri della struttura burocratica regionale.

Un’amministrazione che non rispetta la legge non potrà neanche essere efficiente, magari solo utile al politico di turno. Già Silvio Spaventa sottolineava che quando la politica riesce a dominare prepotentemente nell’amministrazione pubblica “allora è finita per la libertà”…. ma era il 7 maggio 1880 e, tra passi avanti ed indietro, non sembra che ci siamo mossi granché da li.


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