A Roberta Amato, brillante autrice e scrittrice catanese, abbiamo chiesto un ritratto di Pippo Baudo, tra affetto e ironia.
“E gli anni passano, i figli crescono. Le mamme imbiancano”. E i miti muoiono. I grandi fenomeni di costume muoiono. E tu lì, davanti all’ edizione straordinaria del tg, presa a tumbulate. È morto Pippo Baudo.
Ma come? Ma certo. Prima o poi, anche se, però. Però non eri veramente pronto. E adesso ti senti come la pallina della famosa teoria del piano inclinato. È cominciata, inarrestabile, la tua corsa verso l’ età adulta, quella che tua zia Maria, allo scoccare dei tuoi 18 anni, ha definito ” la calata”.
“Uora, figghia mia, è tutta na calata”. E c’aveva ragione. L’ età adulta, quella in cui, a poco a poco, ti muoiono i miti, le certezze, i capisaldi, i baluardi, i modelli, quell’età in cui ti aggiri per la città tua non più tua, gentrificata, turistica, plasticosa, plasticata, plastificata, genuflessa al turismo di massa che si fotografa ridente sotto ombrellini colorati nella città dolente e nera, perché così è Catania, funziona per contrasto.
Non ritrovi più i posti soliti, i soliti posti, non ritrovi più te. Da catanese, negli ultimi quattro anni, ho dovuto dire addio per sempre a tre grandi pilastri del mio romanzo di formazione, Battiato prima, Brigantony poi, Baudo adesso.
Le tre ‘B’
Le tre “B’ di una Catania bella, bellissima, col meglio a venire, con la sua mirabolante parabola ascendente, quando la chiamavano la Seattle italiana. Battiato, Brigantony, Baudo, come novelli Colapesce, l’hanno issata su questa città, l’hanno fatta vedere a tutti, per consacrarla, raccontarla, esporla, edificarla nuovamente, illuminarla, impreziosirla.
Ognuno a suo modo. Sacro, profano, profanissimo. Alto, nazional-popolare, popolarissimo. Mistico, istituzionale, vastaso. I primi ad andarsene sono stati Franco e Tony, i poli, quelli agli antipodi, a distanze siderali e nel mezzo era rimasto lui, Pippo, a metà strada.
Pippo che ha studiato, che il papà lo voleva avvocato, Pippo laureato. Pippo che era colto, ma sapeva parlare a tutti. Pippo motivo di vanto per i catanesi, che quando gliela tocchi, quella città nera, maestosa e terribile, corrono tutti lì a difenderla, pure quando è indifendibile.
“Io sono catanese come Pippo Baudo”, quante volte i nostri personaggi illustri ci hanno dovuto fare da garanti quando ci sentivamo punti nell’ onore, derisi, disprezzati e deprezzati da qualcuno più a Nord di noi, anche di poco, ma a Nord di noi.
Pippo che per oltre mezzo secolo ci ha dovuto rappresentare, brillando, vincendo, rappresentando, sponsorizzando quegli abitanti lì, quelli rappresentati come in-colti, col monociglio, la lupara e la coppola i maschi, la sciallina, il neo peloso e il tuppo le donne.
E lui, lì, impeccabile, non bello, ma “incendiario”, alto (un siciliano alto!), n’ pileri, ben fatto, bell’ eloquio, belle idee, mattatore, presentatore, pigmalione, cantante, musicista, bello, bravo, bis. Orgoglio. La storica rivalità tra i due licei classici catanesi, lo Spedalieri e il Cutelli si risolveva sempre allo stesso modo: “Sì, ma Pippo Baudo ha fatto lo Spedalieri” E si chiudeva la discussione. Perché quello era il match point. Baudo era il punto. 1 a 0 e palla o centru.
– Dimmi, Capo di Bomba, a chi vuoi più bene a papà o a mammà?
– a Pippo Baudo!
Cult nel cult. Pippo Baudo che irrompe, così nel film Arrapaho del 1984, chicca per cinefili, sì, ma oramai conosciutissima grazie all’ avvento di internet.
Pippo era (nel) Tutto
Perché Pippo Baudo era nel Tutto. Tentacolare. Figura immensa, ingombrante, non priva di controversie, esagerato, melò, egocentrico, ego riferito, paradigma per molti, punto di partenza per tanti, oggetto di studio per tutti. Si ama, si odia, lo si contesta, ma non lo si depotenzia. Se non ti piace, non ne puoi comunque non constatare la stoffa. Differenza tra personaggio e fenomeno di costume, difficilmente il secondo può essere indebolito, scalfito, declassato.
Pippo è icona, quella cosa là. Proprio quella. Pippobaudo, tutto unito, imitato, parodiato, Pippo XIII, come le presenze al festival di Sanremo, Pippo che durante la kermesse entra in ironica polemica con Elton John, si arrabbia con la politica rea di occuparsi di canzonette e non dei reali problemi degli italiani, che chiede concordia per il Paese.
Pippo che salva, ascende, sale sulle balaustre e abbraccia, promette, si presta, si fa garante di un futuro migliore per Pino Pagano, disoccupato aspirante suicida in diretta tv. Pippo che era sabato sera, ma pure Domenica, col capello niuru juittu, a grandi passi, forma e sostanza, lo spettacolo fatto bene, con le sigle, i balletti, le showgirl, una mora e una bionda, Pippo che santifica, pontifica, che scopre questo e quello, che li inventa lui, che se ti chiami Pupo non va bene, che cambia nomi, crea pseudonimi e cambia strade, destini e vite.
Che se non c’ era Pippo… gridano a gran voce i cortigiani ” scoperti” da Pippo XIII, Pippo magnifico. Pippo salvifico. Che già son tutti lì a cercare l’erede. Non vi affannate.
Il re è morto e il ventre della TV italiana è vuoto.

