Mario Centorrino sarebbe stato felice di un rinnovamento del ‘made in Sicily’ attraverso un rilancio della produzione agrumicola isolana e avrebbe plaudito alle iniziative del Distretto degli Agrumi per garantirne la presenza nei mercati. Da economista e da siciliano vero, aveva, fino alle ultime elezioni europee, scritto una missiva ideale ai neoeletti deputati (Lettera ai deputati siciliani: fate sì che l’Europa sia utile, Live Sicilia 1 Giugno 2014), invitandoli a dirigere i loro sforzi verso la valorizzazione dei prodotti siciliani in Europa. La promozione del consumo delle arance, in particolare, era stata oggetto di più di una sua battaglia.
Il Distretto degli Agrumi rappresenta oggi oltre duemila addetti per più di ventunomila ettari di coltivazione, e sostiene la crescita di una filiera controllata, favorendo nel contempo i consumatori in cerca di prodotti autenticamente siculi. Nuove strategie di comunicazione e di marketing guardano al turismo per individuare i canali giusti per far conoscere le specialità siciliane, in tempi nei quali gli itinerari del gusto suscitano il gradimento dei viaggiatori.
E’ nato così il progetto ‘Attraverso le vie della zagara’, approvato a dicembre dal Ministero per le Politiche Agricole e finanziato con 135 mila euro, grazie al quale il Distretto sarà presente all’Expo di Milano per promuovere le eccellenze del territorio. Verranno proposti percorsi enogastronomici nei quali, alle tante attrazioni culturali e artistiche della Sicilia, verrà affiancata l’ospitalità nelle aziende produttrici di agrumi che abbiano bellezze paesaggistiche ed elevati livelli di accoglienza.
Per la Sicilia agrumicola comincia un processo di internazionalizzazione che coinvolge tutti gli agrumeti identificati come IGP e DOP. Fino a oggi, il problema principale del settore, che consta per la maggior parte di piccole aziende a conduzione familiare, rimane la fortissima frammentazione della produzione. Nei fatti, ogni campagna commerciale diviene una vera e propria guerra dei prezzi a danno dei produttori medesimi; è necessario invece unificare questa compagine. A tal fine, può risultare molto utile una loro collaborazione motivata e partecipata, volta a costruire un’immagine unica di riferimento che contempli il territorio con le sue varie caratteristiche, la qualità straordinaria dei suoi prodotti e risulti, infine, eligibile da parte dei viaggiatori.
La realizzazione del progetto comporterà un interscambio tra gli abitanti dei territori agrumetati, le imprese del settore alberghiero e della ristorazione, i produttori e gli operatori commerciali, i quali concorrono a una crescita collettiva: basti pensare che, rispetto alla proposta turistica in tal modo configurata, vi è un’aspettativa di oltre venti milioni di presenze nell’Isola.
Per imboccare ‘le vie della zagara’, l’equazione Sicilia/agrumi, vincente per secoli, va rispolverata. Proviamo a memorizzare che agrumi DOP non significa arance e limoni dopati, e che l’acronimo IGP non fa riferimento all’Interior Gateway Protocol usato all’interno di un sistema autonomo di rete. Sembra incredibile che non solo i consumatori, ma persino i produttori abbiano le idee confuse sui marchi di qualità rilasciati dall’Unione Europea. La Denominazione di Origine Protetta è un marchio di tutela giuridica attribuito agli alimenti le cui caratteristiche dipendono essenzialmente (o esclusivamente) dal territorio in cui sono prodotti. L’Indicazione Geografica Protetta viene conferita ai prodotti agricoli e alimentari per le qualità, la reputazione e le peculiarità legate all’origine geografica. Il territorio siciliano connota positivamente i suoi prodotti: un po’ di autostima è d’obbligo. E’ mai possibile che le operazioni intelligenti riescano solo ai produttori di mele del Trentino Alto Adige con melinde e marlene varie? Mettiamoci buona volontà e promuoviamo le profumate sfere dai colori del sole!
E, in attesa dell’EXPO, gli agrumi di Sicilia DOP e IGP sono arrivati al mercato ortofrutticolo di Brescia, nell’ambito di un workshop rivolto a grossisti e operatori dell’ortomercato che selezionano la merce destinata alle botteghe di frutta e verdura della Lombardia e del Trentino. Lo scorso 28 marzo il pubblico lombardo ha potuto conoscere da vicino le quattro eccellenze agrumicole siciliane: l’Arancia Rossa di Sicilia IGP (proveniente dagli agrumeti ai piedi dell’Etna e dalle province di Catania, Siracusa ed Enna), l’Arancia di Ribera IGP (Agrigento), il Limone Interdonato Messina IGP e il Limone di Siracusa IGP. La presidente del Distretto, Federica Argentati, ha chiarito come l’intento sia raggiungere direttamente il consumatore, il quale acquista volentieri agrumi siciliani (e, in generale, la frutta “Made in Italy”), sia in forza di un valore affettivo e di identità legato alla certezza dell’origine territoriale, garantita dai marchi, che per la loro intrinseca qualità.
Ancora lo scorso giugno 2014, il Prof. Centorrino scriveva su Live Sicilia di come un emendamento del PD, approvato dalla Camera, elevasse dal 12 al 20 per cento il contenuto minimo di succo di frutta nelle bibite gassate, conseguendo il salvataggio di diecimila ettari di agrumeti italiani, equivalenti ‘a ventimila campi di calcio’, situati per la maggior parte in Sicilia ed in Calabria, e segnalava come questa non fosse che un’ulteriore tappa dello scontro che da sempre vede contrapposti gli interessi dei consumatori (convergenti con quelli degli imprenditori siciliani del settore ortofrutticolo), e quelli della lobby dell’agro-industria. L’opportunità, sostenuta dagli agricoltori, di alzare la soglia del 12% prevista da una legge (risalente al 1958) che ha permesso di vendere bibite ‘a base di agrumi’ con un contenuto del loro succo molto limitato, si scontrava con l’accesa opposizione di una lobby industriale preoccupata ‘dei costi da affrontare per rinnovare gli impianti, per l’elasticità della domanda che potrebbe portare ad una riduzione di consumi rispetto ad un inevitabile aumento di prezzo del prodotto, per la concorrenza ipotizzabile da parte di aziende straniere sottratte al vincolo’.
Occorre ricordare che l’approvazione della modifica alla Legge Comunitaria Europea faceva seguito alla lunga querelle della ‘aranciata senza arance’, iniziata nel 2012 con il governo Monti, che aveva provato ad aumentare la prescrizione relativa alla quantità di contenuto di succo con una norma rimasta inattuata per un anno, in attesa di un pronunciamento dell’Unione Europea. Nel luglio 2013 la UE dava parere sfavorevole, in quanto giudicava il provvedimento incompatibile con le norme europee in materia di libero mercato e libera circolazione delle merci. Nel mese di gennaio del 2014, nonostante la bocciatura, i deputati PD Oliverio e Anzaldi promuovevano un emendamento volto a reintrodurre l’aumento di succo di frutta nelle bibite. A marzo, la Commissione Affari Europei della Camera lo bocciava e sia il sottosegretario agli Affari Europei Gozi che il ministro dell’Agricoltura Martina esprimevano parere negativo, ritenendo che l’emendamento non avrebbe potuto superare un nuovo esame della Commissione Ue. Nel mese di giugno, tuttavia, la Camera dei Deputati approvava l’emendamento del PD che fissava la percentuale minima di succo di frutta al 20%, nonostante l’astensione del M5S e il voto contrario di Lega e Ncd.
Secondo la Coldiretti, si è smesso così di vendere ‘l’acqua come fosse succo’ consentendo ai consumatori di ‘bere’ duecento milioni di chili di arance all’anno in più. Un dato che, a livello di salute pubblica, accresce di cinquantamila chili l’apporto di vitamina C nella dieta degli italiani.
Opposta la posizione della Federalimentare, che ritiene la norma incostituzionale, perché discriminante nei confronti dei produttori italiani in quanto pone un freno immotivato alla libera iniziativa economica. Analoga la posizione di Assobibe (Associazione Italiana Industriali delle Bevande Analcoliche) che considera il provvedimento autolesionista, poiché la norma riguarda soltanto le bevande prodotte in Italia e non si applica alle bibite vendute nel nostro Paese ma prodotte all’estero, per cui molti prodotti importanti e diffusi continueranno ad essere disponibili sul mercato italiano anche se avranno una percentuale di succo inferiore.
Di contro, da quando Oliverio, nell’ottobre scorso, ha potuto diffondere una nota riguardante l’approvazione definitiva della norma, definendola la grande vittoria di una battaglia tutta italiana nel contesto europeo, le principali aziende produttrici hanno subito fatto imprimere sulle lattine di bibite analcoliche a base di frutta, la scritta ‘Made in Italy’: e sappiamo che per i consumatori attenti è un marchio che funziona! Questo successo di una corretta politica agricola del Paese premia il comparto siciliano che produce venti milioni di quintali di agrumi per anno.
Quanto alla lobby del settore agroalimentare, Centorrino affermava che aveva trovato autorevoli appoggi politici, sia fra i parlamentari europei che fra che quelli nazionali eletti in Sicilia, e denunciava una sorta di ‘tradimento’ della propria terra. Tra le citazioni da scrittori siciliani che amava fare, gli era particolarmente cara una frase dolente tratta da ‘Conversazione in Sicilia’ di Elio Vittorini: ‘All’estero non ne vogliono. Come se avessero il tossico. Le nostre arance’.
Tra le iniziative del Distretto per educare i più piccoli a una sana alimentazione e alla conoscenza dei ritmi ciclici della natura, vi è la proposta dell’adozione a distanza di un albero di agrumi, suscitando la loro curiosità mediante un gioco interattivo e un mini book a disposizione delle scuole. Nuovi siciliani crescono; speriamo che amino questa terra di un amore corretto, pulito, con un orgoglio non più malinteso e fine a se stesso, ma foriero di una nuova dignità.
Con l’auspicio che, finalmente, le nostre arance perdano il ‘tossico’.